Il 2021 si presenta come uno degli anni più importanti per l’intero subcontinente latinoamericano per i tantissimi stati chiamati al voto fra elezioni generali, presidenziali, legislative e amministrative.
In ordine cronologico la prima nazione chiamata alle urne sarà l’Ecuador dove la nuova formazione politica dell’ex presidente Rafael Correa, impossibilitato a ricandidarsi anche per il ruolo di vice, punta alla vittoria con l’ex ministro dell’Economia Andrés Arauz per completare il ripristino dell’Alleanza bolivariana perpetrata da Venezuela, Bolivia e Cuba. Difficilmente, però, Arauz riuscirà a chiudere i giochi già nel corso del primo turno domenica 7 febbraio, rendendo vitale conoscere lo sfidante del ballottaggio che potrebbe, a sorpresa, non essere per forza un esponente della destra liberale ma l’indigenista Yaku Pérez, sostenuto dalla lista Packakutik, rendendo quello dell’11 aprile un derby tra le sinistre del Paese.

A fine febbraio toccherà allo stato centroamericano di El Salvador rinnovare il proprio Parlamento. Il presidente in carica, Nayib Bukele, punta ad ottenere la maggioranza nell’unica Camera del Paese per proseguire il proprio mandato con maggiore autonomia dopo un anno e mezzo di forti contrasti con i due storici partiti di destra (l’Alleanza Repubblicana Nazionalista) e sinistra (il Fronte Farabundo Martí per la Liberazione Nazionale) che hanno provato a più riprese a ritardare i provvedimenti autoritari dell’ex sindaco della capitale.
Giornata campale per il Sudamerica sarà quella dell’11 aprile con la costa pacifica che dovrà eleggere i membri dell’Assemblea Costituente in Cile e il nuovo presidente e i membri del Congresso in Perù. Due nazioni poste davanti a scelte che avranno forti ripercussioni sul lungo periodo dopo le proteste popolari che hanno generato una voglia di forte cambiamento di assetto istituzionale e personale politico.
In Cile, infatti, si voterà a più riprese anche per le primarie interne agli schieramenti politici da cui emergeranno i candidati per le presidenziali del 21 novembre (e 19 dicembre qualora fosse necessario il ballottaggio). In ogni caso le sfide sembrano essersi già indirizzate su fortissime contrapposizioni tra i leader di destra (Keiko Fujimori in Perù e l’economista, già consulente del dittatore Augusto Pinochet, Joaquín Lavín in Cile) e quelli della sinistra populista (Verónika Mendoza di Nuovo Perù e Daniel Jadue del Partito Comunista Cileno).

In Bolivia e Messico gli attuali inquilini dei palazzi presidenziali testeranno la propria popolarità nel corso delle amministrative che riguarderanno i rinnovi dei governatori regionali il 7 marzo nella nazione andina e il 6 giugno in America centrale.
Nella seconda parte dell’anno altre due nazioni guidate da esponenti del socialismo del XXI secolo dovranno fare i conti con le urne: prima l’Argentina per le elezioni di midterm riguardanti 24 dei 72 seggi del Senato e 127 dei 257 della Camera e poi il Nicaragua dove la moglie dell’attuale presidente Daniel Ortega, la pasionaria Rosario Murillo dovrebbe dare il cambio al leader della rivoluzione sandinista alla guida dal 2006.
Il ciclo dovrebbe chiudersi il 28 novembre con le elezioni generali in Honduras, dove la sinistra proverà nuovamente ad imporsi dopo le contestatissime votazioni di quattro anni fa quando il presidente uscente, il liberale Juan Orlando Hernández, prima si ricandidò in barba alla legge che non consente di svolgere due mandati consecutivi e poi si dichiarò vincitore nonostante lo spoglio mostrasse in vantaggio lo sfidante Salvador Nasralla.