Poteva mancare il dotto intervento di Bernini contro l’ipotesi di introdurre il salario minimo orario? Ovviamente no. La senatrice di Forza Botulino ha assicurato che tutelare i lavoratori significherebbe creare un nuovo esercito di disoccupati.
Oddio, proprio lei e le sue colleghe di partito avevano già pronosticato milioni di posti di lavoro persi per il Decreto dignità ed invece l’Istat ha certificato che l’occupazione è cresciuta.
Ma il problema non è che le Erinni non ne azzeccano una, curiosamente in ottima compagnia degli economisti televisivi del Pd. È più interessante analizzare le ragioni alla base di questa contrarietà che va oltre l’infantile polemica di un’opposizione frustrata.
A Bernini non interessa minimamente che il lavoro sia retribuito adeguatamente, decentemente. Non interessa che permetta di vivere, di crearsi una famiglia. Posizione legittima, ovviamente. I suoi elettori non sono i lavoratori sfruttati ma i predatori che sfruttano, dunque è comprensibile che lei tuteli chi la vota. Un normalissimo contrasto di interessi.
Però un salario minimo decente significherebbe metter fine allo sfruttamento degli schiavi importati dall’Africa o dall’Asia. Se bisogna pagare, tanto vale far lavorare gli italiani, ora esclusi perché pretendono retribuzioni che consentano di vivere in alloggi di muratura e non in baracche di lamiera.
E se i predatori non possono più utilizzare gli schiavi, a cosa servono tutte le organizzazioni impegnate nel traffico di uomini? Un dramma dover smantellare tutta la grande rete di approfittatori che si ingrassano sui migranti.
Pensava a tutto questo la senatrice Bernini? O, più semplicemente, pensava la senatrice Bernini? O si limitava a ripetere gli slogan preparati dai grandi comunicatori del Sultano di Arcore?