E anche questo 25 aprile è passato. Meno male.
Non ci sono stati nè morti nè feriti, e questo è un bene. Ma il clima da guerra civile, quello, c’è tutto. Almeno sui social.
Segno di un passato che non si arrende e non vuole saperne di passare. Da una parte si celebra la guerra di liberazione e dall’altra si ricordano gli sconfitti, come se in una guerra possano esserci dei vincitori, e non ci siano, in realtà, soltanto perdenti.
Perlomeno la battaglia è stata solo verbale, anche se i toni sono stati a volte accesi. Nessuna discussione vera, nessun tentativo di approfondimento. E come poteva essere possibile se il mezzo utilizzato, i social appunto, sono il luogo del puro birignao inconcludente.
Ciascuno, quindi, è rimasto sulle sue posizioni, perlopiù acritiche e basate su opinioni orecchiate e mal digerite. E ci viene da domandarci che fine abbiano fatto i tentativi di chiudere una pagina tragica della nostra nazione, di trovare una identità condivisa.
Siamo l’unico paese al mondo che, a 74 anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, non è ancora riuscito a trovare una sintesi, una posizione unitaria che sia in grado di operare una riconciliazione tra gli eredi di coloro che si fronteggiarono in una guerra civile cruenta e dolorosa, fatta di atti di eroismo e di opportunismo, di sofferenze e soprusi, di fame e di paura, di esaltazioni (tutte disilluse) e di voglia di cambiamento.
Tutto questo gran parlare delle ragioni degli uni e degli altri, era lontano anni luce da coloro che, dopo il 25 aprile del ‘45, dovevano fare i conti con le mille difficoltà di un paese stremato dalla guerra, ma che avevano una gran voglia di ricominciare lasciandosi il passato alle spalle.
Preferivano dimenticare e guardare al futuro, anche se quel futuro non preannunciava nulla di buono. Tuttavia si rimboccarono le maniche e ne vennero fuori, anche se il prezzo da pagare era alto e significava sottomettersi a logiche estranee e poco comprensibili.
A loro poco importava che il 25 aprile fosse stata una vittoria o una sconfitta, che si trattasse di una “liberazione” o di una nuova schiavitù. C’era in ballo la necessità urgente di ricostruire un paese distrutto dai bombardamenti, dai tradimenti e dai compromessi per evitare le vendette.
Ma visto che non siamo in grado di recuperare lo spirito dei nostri padri, e restiamo invece in balia di nostalgie contrapposte quanto ampiamente fuori tempo massimo, tanto vale che questa festa venga definitivamente abolita. Con buona pace di tutti i nostalgici di qualunque colore.