Brignone, Bassino, Curtoni e la ritrovata Goggia. Un poker d’assi per lo sci italiano. Persino con i cognomi italiani. Eppure le 4 fantastiche ragazze non riescono a scaldare i cuori di un Paese di sportivi televisivi.
Certo, siamo lontani dai trionfi della valanga azzurra che negli anni 70 dominava il settore, arrivando a piazzare 5 atleti ai primi 5 posti in una gara. Ma con una serie interminabile di sciatori ai vertici di ogni prova.
E le ragazze italiane hanno anche poca concorrenza da parte dei maschi dopo l’infortunio di Paris ed in attesa dell’esplosione di Vinatzer e Maurberger, o di Casse. Invece non basta a trasformare la pattuglia di sciatrici in un gruppo capace di scatenare entusiasmi e tentativi di emulazione. Non si può neppure incolpare la Rai di disinteresse, perché le gare vengono seguite con regolarità (anche se le telecronache lasciano spesso a desiderare).
Dunque perché la bravissima Brignone non sfonda mediaticamente pur essendo più forte della madre Ninna Quario? Esteticamente gradevole, intelligente, preparata, simpatica. E lo stesso vale per le altre compagne di squadra. Invece aveva più seguito Thoeni che nelle interviste rispondeva con poche frasi in incerto italiano.
Forse, allora, le responsabilità sono da ricercare altrove. Magari in un giornalismo politicamente corretto che si impegna ad inventare una inesistente rivalità tra femmine e maschi. Non solo nello sci ma in ogni altro settore. Pensiero unico obbligatorio ma il risultato è pessimo ed il rifiuto cresce. La ribellione cresce ed aumenta il distacco nei confronti delle atlete che sono le prime vittime del politicamente corretto in redazione. Non se ne può più della lingua italiana stravolta, in attesa che qualche idiota imponga di modificare il termine sciatrice in sciatora. Non se ne può più della contrapposizione obbligatoria tra azzurri ed azzurre, con l’inevitabile corollario di difese d’ufficio nel caso di sconfitte in ambito femminile.
D’altronde anche la definizione di “valanga rosa” è una totale scemenza, dal momento che l’azzurro è il colore della nazionale e non una indicazione di sesso maschile. Ma spiegarlo alle Erinni della disinformazione politicamente corretta pare impossibile. Sono pronte a pretendere che l’Italia cambi il colore della maglia per non offendere le atlete. Che, essendo più intelligenti di chi pretende di difenderle, non si offendono proprio per nulla. E non si offenderanno di fronte alla linea di abbigliamento sportivo “valanga azzurra” della AnziBesson. Perché chi fa sport usa il cervello più di chi vorrebbe imporre il pensiero unico obbligatorio.