Carlo Bonomi, neo presidente di Confindustria, marca il territorio. Ed accusa il governo di provocare danni peggiori di quelli del virus. Difficile dargli torto anche se il pessimo Gualtieri considera “ingenerose” le dichiarazioni del numero 1 di viale Astronomia.
Non è che il ministro abbia tutti i torti, a patto di considerare le promesse come fatti concreti. Il che non è.
Il lìder minimo ed i suoi dittatorelli hanno distribuito miliardi a pioggia, provocando una voragine nei conti pubblici ma senza creare la benché minima premessa per il rilancio del Paese. Hanno cercato di accontentare il gregge di pecore piagnucolanti per la paura, hanno vellicato la pigrizia dei renitenti alla vanga sdraiati sul divano, hanno bloccato tutto creando le condizioni perfette per il disastro finale. Però speravano di mettere a tacere le varie categorie con le promesse di elargizioni senza fine.
Invece no. Sangalli (Confcommercio) compariva ogni giorno su tutte le reti televisive per chiedere più soldi per i negozianti. Non importava da dove arrivassero, si potevano anche stampare di notte in qualche zecca clandestina. Più pilu per tutti.
Ora è la volta di Confindustria. Bonomi spiega che a settembre molte aziende non riapriranno. E avverte che per tutelare l’occupazione non bastano i divieti del governo che blocca i licenziamenti. Altri industriali vogliono cassa integrazione straordinaria a gogò, per almeno due anni. Poi si vedrà.
Non uno che si chieda su quale mercato gli industriali venderanno i loro prodotti. La cassa integrazione non aiuta certo il mercato domestico. I licenziamenti neppure, le tasse contro le famiglie nemmeno. Quanto all’export, solo una piccola minoranza di aziende italiane ha una quota consistente di fatturato legato alle vendite all’estero. Ma gli industriali che non investivano perché non avevano certezze (troppo facile, così) ora vorrebbero soldi pubblici per investire in cambio di nulla. Nessuna garanzia per i lavoratori, minori tasse solo per le imprese, libertà di delocalizzare quando fa comodo. Per la serie “abbiamo sbagliato tutto ma vogliamo continuare a farlo con il denaro pubblico”.
Non una parola sulle riconversioni industriali, sulla nuova organizzazione del lavoro, su nuovi prodotti, nuove strategie, nuovi mercati. Solo la sistematica pretesa di aiuti. In fondo molti di loro sognano di poter imitare il modello Uber, con lavoratori sottopagati e super sfruttati. Quei lavoratori che un pranzo trasportato dai fattorini non possono permetterselo. Ma il mercato interno è una variabile trascurabile per chi vuole i soldi pubblici a prescindere.