L’indice Desi 2020 (Digital Economy and Society Index) è la fotografia delle nostre potenzialità e lo specchio delle nostre difficoltà circa le competenze digitali del nostro Paese. L’Italia ha perso due posizioni in classifica Desi della Commissione europea, siamo 25esimi in digitalizzazione in UE, contro la 23esima posizione del 2019.
Sostanzialmente ci meritiamo questa posizione a causa di competenze digitali basse e per l’esiguo numero di specialisti e laureati nel settore dell’innovazione. La Commissione rileva come queste carenze in termini di competenze digitali si riflettano sulla nostra burocrazia. Queste carenze si ripercuotono su un modesto utilizzo dei servizi online, compresi i servizi pubblici digitali. L’utilizzo dei servizi pubblici digitali risulta scarso perché solo il 74% degli italiani utilizza internet. Di pari passo le imprese italiane presentano ritardi nell’utilizzo di tecnologie con il cloud o il big data e non adottano il commercio elettronico.
Cesare Avenia, presidente di Confindustria Digitale, parla di un disastro annunciato. Peggio di noi fanno solo Bulgaria, Grecia e Romania. L’Italia vive una contraddizione singolare, pur essendo tra i primi dieci paesi più industrializzati al mondo, è fra gli ultimi nel ricorso all’innovazione. Un problema che si trascina da anni e che si è tradotto in un blocco delle capacità non solo di crescita, ma anche di progettare un paese nuovo più semplice, più efficiente, in grado di favorire nuovi investimenti e aprire nuove opportunità ai giovani.
Questo appare possibile analizzando i dati ISTAT che mettono in luce che oltre un terzo delle famiglie non ha un pc o un tablet in casa, in particolare modo nel sud Italia. Inoltre la metà dei ragazzi condivide i dispositivi con la famiglia. Solo il 6% tra i 6 e i 17 anni vive in nuclei dove è disponibile almeno un computer per componente. Questi dati sono gravi perché testimoniano che nell’Italia del lockdown i bambini non hanno avuto tutti la stessa chance di collegarsi a internet per le lezioni a distanza. Si riconosce adesso che la scuola ha affidato alla rete un arduo compito, quello di portare avanti i programmi fermi dai primi di marzo per l’emergenza sanitaria legata al Covid 19.
È necessario rilanciare per sostenere i centri ricerca, le università e le imprese, un’azione che sarà decisiva per consolidare un futuro ruolo da protagonisti. L’Italia continua a spendere troppo poco per la ricerca e l’innovazione ed è per questo motivo che ha accumulato un ampio ritardo rispetto agli altri Paesi UE. Anche per l’Europa la vera sfida sarà quella di recuperare il ritardo accumulato nei confronti di Cina e Stati Uniti sul fronte delle intelligenze artificiali e delle reti 5G.
Il dato negativo che colpisce ogni anno l’Italia dovrebbe spingere a riformare radicalmente i percorsi formativi di scuola e università. Si parla di un nuovo digital Act che definisca una strategia precisa. Passi da gigante sono stati fatti sulla copertura della connettività che si assesta sulla media europea in preparazione al 5G. Questo è importante perché il 5G sarà l’elemento base per l’innovazione nella Quarta Rivoluzione Industriale. Il 5G porterà un cambiamento significativo.
La connettività sarà il fulcro della trasformazione digitale, poiché entro il 2024 la banda mobile fornirà una copertura di rete a circa il 92% della popolazione mondiale, ed è dimostrato che la diffusione di reti mobili stimola lo sviluppo economico. In tutta l’economia digitale, entro il 2030, due terzi della forza lavoro globale utilizzerà la piattaforma 5G. È evidente che le industrie che per prime adotteranno il 5G godranno di una leadership nel settore economico. Il 5G rappresenterà una base obbligatoria per competere sulla scena mondiale. Il rischio sarà quello di vedere profonde disuguaglianze tra i paesi. Le reti sono importanti per i Paesi quanto gli aeroporti, le reti elettriche e le strade.
Il 5G e la Quarta Rivoluzione Industriale includono la possibilità di creare nuovi posti di lavoro, ma anche un miglioramento nell’accesso e nell’estensione alle cure sanitarie. Il progresso digitale appare come un’arma fondamentale contro la burocrazia che paralizza la nostra economia. Ci ritroviamo sia con problemi di connessione sia con il digital divide in ambito delle infrastrutture e del territorio. Ci rendiamo tutti conto che, se il nostro Paese fosse stato più pronto al digitale, l’impatto del disastro economico del lockdown sarebbe stato minore. Avremmo avuto più aziende aperte, meno ritardi nell’erogazione della cassa integrazione e conseguenze meno disastrose nella didattica a distanza. Nell’amministrazione pubblica l’adozione del digitale avrebbe accelerato i percorsi amministrativi per i cittadini.
Il digitale è sicuramente un mezzo efficace per la sburocratizzazione ma nello stesso tempo richiede un adeguamento normativo, un lavoro complesso ma necessario per favorire aziende e consumatori a superare le barriere nell’utilizzo di strumenti e servizi online. Attualmente i servizi digitali sono regolati da un quadro normativo che risale al 2000 ma adesso è necessaria una regolamentazione delle piattaforme online e dei contenuti pubblicati da tali piattaforme, di questo si occuperà l’Europa con il Digital Service Act. Un approccio europeo volto a eliminare norme frammentarie e divergenti per costituire una nuova legislazione unica in materia di piattaforme online.
La centralità di internet nell’emergenza Covid19 ha imposto un processo accelerato di digitalizzazione delle attività economiche e dei servizi pubblici, per l’Italia questa rappresenta l’ultima chiamata per realizzare una strategia di modernizzazione del Paese. Ormai non si può attendere una programmazione digitale, perché ciò causerebbe gravi conseguenze nell’immediato futuro della collettività.