Lo Stato imprenditore spaventa i sostenitori italiani del libero mercato, delle privatizzazioni ad ogni costo. Tra emergenza sanitaria, criminalità ed incapacità privata, sono cresciute di numero le legioni di chi vorrebbe affidare tutto allo Stato. Per non pensarci più.
Redditi di cittadinanza ai divanisti irriducibili, gestione pubblica delle autostrade per rimediare ai vergognosi comportamenti dei concessionari privati, piani quinquennali in stile sovietico per smantellare il sistema turistico enogastronomico italiano.
Qualche nostalgia per l’Iri mussoliniana è comprensibile. Nel corso dei decenni la qualità dell’imprenditoria italiana non solo non è migliorata, ma è precipitata a livelli imbarazzanti. Solo che è peggiorato anche il livello dei dirigenti pubblici, dei boiardi di Stato. Non ci sono più i Beneduce, ma neppure i Mattei. Bisogna accontentarsi di Tridico, di Borrelli, dopo essere passati per Moretti o Montezemolo: concreta dimostrazione che uno non vale uno.
Aziende che chiedono soldi pubblici, fagnani che chiedono soldi pubblici, finti invalidi che chiedono soldi pubblici. E, sul fronte opposto, la scuola pubblica affidata ad Azzolina per portare a termine la distruzione del settore; l’economia nelle grinfie di Gualtieri, Patuanelli, Castelli per togliere ogni illusione di rilancio; la cultura nelle mani di Franceschini e dei suoi uomini che affidano all’influencer Ferragni la promozione degli Uffizi (come se il Louvre si facesse promuovere da un navigator pentastellato); lo sport affidato a chi vorrebbe cancellare i mondiali di sci; l’agricoltura gestita da chi ha voluto braccianti stranieri per far ripartire i contagi da Covid.
Va beh, però questi sono di passaggio. Prima o poi si andrà al voto e questa banda di incompetenti andrà a casa. E arriveranno le attuali opposizioni che così bene hanno governato a livello nazionale e regionale. Perché la scuola di Gelmini e Bussetti era un capolavoro; perché Brunetta ha fatto crescere l’economia; perché Fini e Frattini hanno garantito un prestigio internazionale alla politica estera; perché un assessore regionale alla Cultura come Coppola, in Piemonte, ha assicurato un salto di qualità alla cultura delle destre subalpine; perché il centrodestra in Sicilia ha eliminato i privilegi indecenti dei parlamentari regionali.
Eh sì, la qualità delle nomine dei vertici regionali, di presidenti nelle varie strutture controllate dal pubblico sono davvero una garanzia di proficuo cambiamento. Persino i candidati per il ruolo di sindaco vengono individuati tra chi ha sempre sostenuto gli avversari del centrodestra. Idem per gli istituti di ricerca, per le attività legate a cinema e teatri, per la musica, per l’economia. Imbarazzante.