Agli inizi di agosto, il 3 secondo il De mensibus di Giovanni Lidio, a Roma si celebrava uno strano rito. Strano ed anche abbastanza ripugnante, per la sensibilità odierna.
Prima di parlarne, però, va detto che Giovanni Lidio è autore erudito alquanto tardo, un funzionario bizantino, dell’epoca di Giustiniano, aduso ancora al latino, oltre che al greco. Che a Roma, però, non ci andò, probabilmente, mai. Tant’è che le date come questa del 3 di agosto proprio non si possono prendere per oro colato. Tuttavia il rituale è attestato da ben più autorevoli e antiche fonti. Plinio il Vecchio, soprattutto, che quanto a sapienza e erudizione è una sorta di Bibbia.
Comunque, dopo questa digressione impropria, puro gusto per la citazione, torniamo al rito in oggetto. Il Sacrificium Canuum… Perché i Romani erano usi inchiodare in croce un cane, e portarlo in processione per le vie della città.
Immagino, ora, l’orrore negli occhi di tutte le anime gentili e, soprattutto, di cinofili e cinofile… Soprattutto di eleganti signore che solo al pensiero che il loro adorato Fuffi possa fare una consimile barbarica fine si sentono svenire…
Però, i popoli antichi erano, tutti, adusi ai sacrifici di animali. Che, per altro, avevano preso nel tempo il posto di quelli umani. Il famoso Capro espiatorio, di cui ci parla, con straordinaria profondità Renè Girard.
E li facevano tutti, i sacrifici umani. Mica solo gli Aztechi. Anche i Greci. Pensate al mito di Ifigenia, narratoci senza tanti infingimenti, da Lucrezio. E persino i Romani. L’uccisione di Remo sul solco delle mura. E poi sappiamo che vi ricorsero ancora durante la Seconda Punica, dopo il disastro di Canne. Certo, era ormai in disuso da secoli. Ma quelli, dopotutto, erano prigionieri cartaginesi. E con Annibale alle porte tutto faceva brodo…
E, poi, a ben vedere, lo stesso Cristianesimo non ha il suo centro in un sacrificio?
Comunque, il 3 agosto, il Cane veniva crocifisso. E l’Oca portata in trionfo su una lettiga. Con tutti gli onori. Il mito ci dice che era memoria dell’invasione dei Galli di Brenno. Che per entrare nottetempo in Campidoglio, avevano dato ossa e carne ai cani da guardia. E, mentre questi sgranocchiavano pasciuti e soddisfatti, avevano tentato il colpaccio. Solo che non avevano fatto i conti con le, oggi famose, Oche del Campidoglio. Che erano sacre a Giunone. E solo per questo non erano ancora finite arrosto per sfamare gli esausti assediati. Le oche si erano messe a starnazzare svegliando le sentinelle…
Per questo, poi, e Romani mettevano un Cane in croce e onoravano un’Oca.
Naturalmente si tratta di una leggenda. O meglio di un mito storioricizzato. Come sono sempre le “storie” della Roma arcaica.
E l’oca è animale totemico, e come tale incarna Giunone stessa, rimandando ad antichi riti sciamanici, che ancora troviamo tra i popoli delle steppa nell’Asia Centrale. Probabili vicini di casa dei progenitori dei Latini.
Quanto al cane… beh, so che oggi dire questo è impopolare, ma in antico era animale simbolicamente connesso con gli Inferi e con le potenze oscure. Dunque la processione di cui parla Giovanni Lidio doveva essere un rito per evocare le potenze della Luce, l’Oca (in origine) selvatica che vola verso il Sole, contro quelle della morte e della tenebra. Il Cane, che dà anche il nome alla Canicola di questo periodo. Rito celebrato non a caso nel declinare progressivo dell’estate, quando la natura appare sempre più arida ed arsa. E le notti si allungano…
Vabbè, dirà forse qualcuno… ma questo che c’entra con noi? Coi nostri tempi? Con sto Anno Zero post pandemia di cui parli sempre?
Beh, intanto conoscere i ritmi dell’anno, e i miti hanno questa funzione, ti fa comprendere che l’esistenza non può venire immiserita a mera sopravvivenza biologica, che il tempo della vita è strettamente connesso con il cosmo. E che questo incide tanto sui destini individuali che su quelli dei popoli. Che, se fossero coscienti del senso delle loro storie e delle tradizioni, non si farebbero ingannare da mediocri dittatorelli, né rendere schiavi da inutili paure.
E poi, c’è un’altra cosa che mi colpisce in questo Sacrificio Canuum. E che non ha nulla a che fare con il suo autentico significato. Qualcosa che assomiglia un po ‘ ad un apologo esopico. E satirico. L’ Oca portata in trionfo e il Cane crocifisso. I guardiani, usati come sgherri e poi sacrificati. E le oche, volatili non certo noti per la loro intelligenza, esaltati e applauditi. Sembra quasi un ritratto della nostra, attuale, italietta…