Finalmente, dopo 4 mesi, i verbali del Comitato Tecnico Scientifico sono stati desecretati e sono consultabili sul sito della Fondazione Einaudi. Gli italiani hanno bisogno di chiarimenti dopo la notizia che, il 7 marzo, il Comitato tecnico scientifico propose di chiudere solo un pezzo di Italia, quello con i casi più positivi, ma il lockdown deciso dal governo quattro giorni dopo ha paralizzato tutta l’Italia.
Dal verbale emerge che bar, ristoranti e altri esercizi commerciali potevano rimanere aperti, purché garantissero il rispetto delle distanze di sicurezza, anche all’interno delle zone rosse. Ai gestori dei negozi si intimava di adottare modalità di ingresso contingentate. Le stesse precauzioni erano solo fortemente raccomandate nelle aree del Centro e sud Italia.
Come è noto il governo, non tenendo conto di questi suggerimenti, l’8 marzo optò per un lockdown nazionale. Un lockdown totale che la nostra memoria e la nostra economia non scorderanno facilmente. Gli stessi documenti del comitato tecnico scientifico, rilasciati ieri dalla Fondazione Einaudi, confermano che il primo suggerimento fatto al governo riguardava misure differenziate, con un blocco focalizzato solo sulle regioni maggiormente colpite dalla diffusione di Sars-CoV-2. Tutte insieme, le regioni del centro sud, rappresentarono solo il 12% percento dei casi positivi registrati in Italia da inizio epidemia. Eppure dovettero subire le stesse chiusure e limitazioni agli spostamenti come la Lombardia. Non si tenne conto che in Lombardia vi erano più persone infette e morti delle regioni meridionali.
Cominciamo con il processo verbale 12 del 28 febbraio. Il CTS, vale a dire gli scienziati scelti dal governo per far fronte all’emergenza del coronavirus, propone una serie di misure più leggere per l’intero paese, altre più significative per le regioni in cui “non c’erano casi con modalità di trasmissione sconosciute”, vale a dire per il Friuli-Venezia Giulia, la Liguria e il Piemonte. Infine, misure molto severe, oltre a quelle già adottate, per le regioni con una “complessa situazione epidemiologica”: Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto. Si ricorderà che il Primo Ministro Conte ha inizialmente scelto la linea di interventi differenziati, con una vasta zona rossa che ha interessato la Lombardia, parte dell’Emilia, Piemonte, Veneto e Marche. Era l’8 marzo. Ma dopo tre giorni, ecco il colpo di scena il blocco in tutto il paese dall’11 marzo, a Isernia come a Bergamo. Ma è nel numero 21 del 7 marzo che il Comitato tecnico scientifico entra in modo più specifico. Gli scienziati, nel testo inviato al Ministro della Salute, Roberto Speranza, esprimono preoccupazione per la progressione dell’epidemia; dove sono state pianificate aree rosse (Lodigiano) c’è una leggera diminuzione, ma in altre aree il contagio sta aumentando.
Adesso la notizia che il Comitato scrisse: “Si concorda di definire due livelli di misure di contenimento da applicare: a) uno, nei territori in cui il virus si è diffuso maggiormente fino ad oggi; b) l’altro, su tutto il territorio nazionale”. Per le misure più severe, il Comitato menziona espressamente tutta la Lombardia, le province di Parma, Piacenza e Modena in Emilia, Rimini in Romagna, Pesaro-Urbino in Marche, Venezia, Padova e Treviso in Veneto, Asti e Alessandria in Piemonte. Per tutti questi territori, chiede la fine di eventi sportivi, sci (e le settimane bianche, bloccate troppo tardi, hanno causato centinaia di infezioni); stop a scuole, musei e concorsi pubblici; restrizioni alla ristorazione e al commercio; limitazione dei movimenti. Per tutte le altre regioni sono indicate misure di contenimento, ma molto meno invasive rispetto a quelle del decreto dell’11 Marzo che ha portato al blocco di tutto il paese.
I verbali desecretati non fanno che avvalorare la tesi tecnico-politica che, per almeno un mese, non fu presa nessuna decisione apprezzabile a contenere lo tsunami coronavirus. All’inizio di marzo gli italiani furono lasciati ignari, ma la cosa che appare ancora più grave è che anche gli operatori sanitari non ebbero disposizioni precise per tutelare la loro salute, tipo premunirsi di guanti, mascherine e distanziamenti. Già ad inizio gennaio al governo sapevano della gravità della situazione ma ci si limitò a prefigurare solo un piano nazionale di emergenza.
Il confinamento da epidemia virale disposto a marzo in tutta Italia, con danni enormi per l’economia – dopo che i tecnici, gli esperti e quant’altri avevano suggerito al governo interventi meno generalizzati, o più circoscritti al Nord – ha decretato la reclusione domiciliare per tutti gli italiani. È doveroso approfondire i ritardi degli interventi di governo. Trasparenza vera o presunta, i verbali adesso sono tutti (o quasi) disponibili. Dopo 4 mesi, 8 solleciti, qualche pressione politica e pure una nota del Copasir adesso gli italiani possono finalmente leggere i documenti che sono alla base dei DPCM degli ultimi mesi.
Intanto il verbale del Comitato tecnico scientifico del 3 marzo è nelle mani della procura di Bergamo. Nel documento emerge che il governo prima non chiuse le zone rosse colpite dal virus come richiesto e, dopo, chiuse tutta Italia senza un valido motivo. Intanto il presidente del Consiglio Conte afferma di non aver mai letto il verbale del Comitato tecnico scientifico del 3 marzo, quello in cui i consulenti del governo suggerivano di istituire una zona rossa anche a Nembro e Alzano: “Quel documento non mi è mai arrivato”, ha detto Conte sentito dai magistrati a giugno.
In un capitolo del libro ‘Come nasce un’epidemia – la strage di Bergamo, il focolaio più micidiale d’Europa’, dei giornalisti Marco Imarisio, Simona Ravizza e Fiorenza Sarzanini, emerge la conferma del particolare inquietante: il presidente dei consiglio Conte non avrebbe mai letto quel verbale nonostante il documento sia stato trasmesso a Palazzo Chigi.
Tutti gli italiani si chiedono se – come lo stesso Premier ha ammesso ai magistrati di Bergamo, lo scorso 12 giugno a Roma, nell’ambito dell’inchiesta avviata per accertare eventuali responsabilità sulla strage della Val Seriana: “Quel documento non mi è mai arrivato”, non seguendo il suggerimento degli esperti del Cts – forse si sarebbe potuto evitare un così alto numero di vittime nel comune di Bergamo. Probabilmente sì.