Borges diceva che la sua rappresentazione del Paradiso assomigliava molto ad una Biblioteca. È un’immagine che mi ha colpito. Perché, in genere, chi ha una qualche rappresentazione del Paradiso pensa o ad angioletti barocchi svolazzanti tra nubi rosa e dorate, o, nel migliore dei casi, ad un giardino. Che sarebbe, poi, l’immagine fililogicamente più corretta, visto che “giardino” è, appunto la traduzione di Paradiso, parola, e concetto, derivato dall’antico persiano.
Che la condizione paradisiaca, di beatitudine, venisse rappresentata con un giardino, piante, fiori, frutti, acque è normale per popoli – persiani, ebrei, arabi… – che dovevano misurarsi con il deserto. Noi, intendo noi europei, la abbiamo ereditata dal Mediterraneo, crocevia de culture ed idee, oltre che di commerci. Ed è entrato nel nostro immaginario. Profondamente. Il giardino dell’Amore del Roman de la Rose . L’incontro di Dante e Beatrice nell’Eden. La Primavera rappresentata da Botticelli….. E potrei continuare, sino all’Hortus Conclusus del Poema Paradisiaco dannunziano… Storia vecchia, sulla quale ritorno ciclicamente. E continuerò a ritornare. Perché è una delle mie, personali, ossessioni.
Ma una Biblioteca? Da dove deriva all’Omero di Buenos Aires una simile immagine?
Perché, certo, Borges amava come pochi libri e, quindi, biblioteche. Ma non basta a spiegare la loro identificazione con la condizione paradisiaca. E poi era un genio poetico, certo, ma la sua poesia è un continuo gioco di echi e citazioni. Come solo i grandi sono capaci di fare.
Da dove viene, dunque, questa immagine? Beh, le grandi biblioteche rinascimentali e barocche sono sempre luoghi incantevoli. Magici. E quella Ariostea di Ferrara è sita proprio in Palazzo Paradiso. Una delle meraviglie del sogno estense…
Ma Borges più che allo splendore degli edifici, pensava certo ai libri. A innumeri volumi in folio e di tutte le dimensioni, rotoli papiracei, incunaboli, cinquecentine, codici amanuensi miniati da pazienti monaci… Il paradiso di ogni bibliofilo.
Che rimanda, poi, alla Grande Biblioteca di Alessandria. Il mito. Il sogno. Il luogo in cui era riunito tutto lo scibile. Umano e non solo. Tutta la poesia e la scienza. Per i cui corridoi si muovevano silenziosi Callimaco e Tolomeo, Apillonio Rodio e Eratostene…
Ma l’immagine, o se volete il sogno di Borges rimanda anche ad altro. Ad una concezione più antica. Ed arcana.
La vita come intreccio di destini. Come narrazioni, quindi. Dove tutto è scritto. Senza determinismi, però, ché infinite sono le storie. Infiniti i libri.
In uno strano film di molti anni fa, “Al di là dei sogni”, Robin Williams, dopo morto, si ritrovava in un complesso altrove. In un altro mondo, Paradiso, Purgatorio e Inferno, dove un luogo centrale, una specie di snodo, era un’immensa, oscura Biblioteca. Dove gli veniva spiegato che venivano custodite le storie di tutti gli uomini. Delle loro vite passate. E di quelle future. Leggendo quei libri era, dunque, possibile comprendere il senso di ciò che ti era accaduto. E vedere che cosa sarebbe accaduto nel futuro. Dare un senso agli incontri. Agli amori finiti. Agli amori incompiuti…
Bello. Semplicemente bello. Borges, cieco, vedeva oltre l’apparenza. La biblioteca non era solo un polveroso cimitero di vecchie carte scritte…
Una visione oggi dimenticata. Quasi nessuno frequenta più le sale dalla luce fioca. Solo pochi eccentrici compulsano per ore vecchi tomi…
Siamo nella “cultura” di internet. Della telematica. Dell’appiattimento. Dell’uno vale uno. Il Paradiso c’è ormai precluso. Siamo all’inferno. E non ce ne vogliamo rendere conto….