Il 3 novembre 2020 gli elettori statunitensi saranno chiamati a eleggere un nuovo presidente e a rinnovare i membri delle due Camere del Congresso. Negli Stati Uniti le elezioni presidenziali si tengono ogni quattro anni, sempre il primo martedì dopo il primo lunedì del mese di novembre, come stabilito dal Presidential Election Day Act del 1845. Quindi rimandare il voto, nonostante l’emergenza Coronavirus, sembrerebbe inconciliabile con la complessità costituzionale degli Stati Uniti. I due candidati alla presidenza Joe Biden e Donald Trump si sono scontrati apertamente circa il voto ed è emersa un’alternativa parimenti valida: il voto postale. Negli ultimi tempi negli Usa sono state promosse diverse battaglie per cambiare il sistema elettorale, come quella per il ranked choice voting, l’eliminazione del collegio elettorale o il voto postale. Di queste tre proposte, l’ultima è probabilmente quella che ha riscontrato maggior successo. Il voto per posta sta diventando uno dei temi chiave della prossima campagna elettorale per la Casa Bianca: si prevede che quest’anno, a causa della pandemia, voteranno per posta un numero record di persone. In Usa, il servizio postale federale (Usps) mette in guardia dal rischio che milioni di voti inviati via mail potrebbero non arrivare in tempo per essere conteggiati nel giorno delle elezioni presidenziali, il 3 novembre.
Secondo il Washington Post, il servizio postale ha iniziato a inviare avvisi ai 46 Stati, compresi alcuni che sarannno determinanti nella battaglia come Florida, Michigan e Pennsylvania, segnalando che non può garantire che sarà in grado di elaborare i voti e conteggiarli in tempo. Le poste Usa danno ragione a Trump sui rischi del voto per corrispondenza: “Scadenze incompatibili con i nostri servizi”.
Donald Trump da settimane denuncia la possibilità di condizionare il voto, preoccupato in realtà dal ricorso a questo servizio soprattutto dalla popolazione afroamericana: questo tipo di voto favorirebbe le comunità nere d’America in larga parte contrarie a un secondo mandato dell’attuale Presidente. In una lettera inviata a luglio e citata dalla Nbc, il consigliere generale Thomas Marshall ha scritto a tutti i 50 Stati che i milioni di voti spediti via posta potrebbero non arrivare in tempo per essere conteggiati.
Sono decine di milioni gli americani con i requisiti per votare via posta alle presidenziali. Un bacino che, a causa della pandemia di coronavirus, in molti Stati è ulteriormente aumentato. Nbc ha contattato tutti gli Stati americani per sapere se avessero ricevuto la lettera. Diciotto di questi, inclusi Arizona, Florida e Michigan, hanno confermato di averla ricevuta e l’hanno condivisa con l’emittente. Vermont, Wisconsin e Kentucky hanno dichiarato di non averla avuta.
Intanto Trump ha bloccato i 25 miliardi di dollari per rimettere in sesto il Postal Service. Secondo lui i democratici vogliono utilizzare i soldi per una frode elettorale. Non intende nemmeno autorizzare un ulteriore fondo di 3,5 miliardi di dollari da destinare alla sicurezza elettorale del voto per corrispondenza. Somma inserita nel nuovo pacchetto di misure antivirus su cui da settimane si litiga in Congresso, che pure servirebbe a dare a tutti i cittadini americani la possibilità di registrarsi al voto via mail e votare in sicurezza in un paese dove ci sono oltre 5 milioni di contagi. Nonostante sia lui che sua moglie Melania si apprestino a votare per posta, hanno già ricevuto la scheda nella tenuta di Mar-a-Lago, in Florida, dove risiedono da oltre un anno, Trump si dichiara contrario al voto postale e sostiene: “I democratici vogliono usare quei soldi per una frode. Di fatto è denaro elettorale, serve a ricevere milioni e milioni di schede”. Trump ha spiegato, senza però dare prove, che la modalità del voto per corrispondenza apre la porta a chiunque di stampare schede elettorali e inviarle creando il caos. In realtà il voto per corrispondenza, già usato quasi esclusivamente dagli Stati del Colorado, Oregon, Washington e Utah da parecchi anni, non ha causato nessun problema. Questi Stati, e gli altri che lo permettono, hanno stabilito procedure per evitare brogli. Si usa un plico elettorale che include due buste, una esterna e un’altra interna. La prima include un codice a barre e la firma dell’elettore mentre la seconda include la scheda elettorale con il voto segreto. I funzionari del governo che le ricevono controllano la busta esterna per assicurarsi che si tratti di un plico valido. Esaminano il codice a barre e la firma che deve combaciare a quella già depositata anticipatamente nelle iscrizioni. Se la prima parte è valida la busta interna con il voto segreto è passata agli altri addetti che usano il contenuto per il conteggio dei voti, mantenendo però l’anonimato dell’elettore. Gli studi fatti al riguardo del voto per corrispondenza indicano che i brogli sono quasi inesistenti. Nei cinque Stati che usano quasi esclusivamente il voto per corrispondenza ci sono stati solo 112 casi di potenziale frode su 11 milioni di voti ricevuti. Il tycoon teme che il servizio postale possa aumentare le possibilità di vittoria del democratico Jo Biden, poiché l’epidemia ha colpito maggiormente le città dove prevale il voto dem. Ma non esiste nessun’evidenza empirica a suffragio dell’ipotesi del presidente. Si tratta, semmai, di un tema attuale per cui Trump non vuole concedere la vittoria politica ai suoi avversari. L’ingerenza di Trump in merito alle elezioni mediante voto per posta non finisce qui. Infatti, a capo del Postal Service, ha assunto il suo grande amico e finanziatore della campagna 2016, Louis DeJoy. Quest’ultimo ha tagliato gli straordinari agli impiegati, e ha dismesso centinaia di macchinari utilizzati per separare i tipi diversi di corrispondenza e quindi velocizzare le spedizioni senza un’apparente ragione. Ha anche dichiarato che questi macchinari non saranno sostituiti. Inoltre, ha licenziato 23 importanti dirigenti e ha aumentato da 20 a 55 centesimi il costo a carico degli Stati per spedire ogni scheda elettorale. Il capo del Postal Service spiega che tali tagli servono a far fronte agli sprechi non comprendendo che tutto questo porterebbe ritardi negli scrutini del 3 novembre.
Per spianare ancora di più il terreno, Trump continua ad attaccare il servizio postale americano. Il nuovo direttore delle Poste, DeJoy, desta qualche sospetto ai democratici che lo accusano non solo di aver contribuito finanziariamente alla campagna di Trump in modo notevole, ma soprattutto di rallentare il servizio postale. Si tratta di una strategia poco promettente. Gli americani considerano il servizio postale affidabile come ci viene dimostrato anche dal fatto che i passaporti, le patenti, medicine e persino cibo di questi giorni vengono distribuiti in tutte le parti del Paese. Un po’ nascosta è anche la strategia dei repubblicani di delegittimare il servizio postale con l’idea che è troppo costoso e quindi la solita soluzione di privatizzarlo è sempre all’orizzonte.
Il problema per Trump è la pandemia che lui non è riuscito ad affrontare in modo efficace e che continua a causare paura alla stragrande maggioranza degli americani. Il voto per corrispondenza è la misura giusta per condurre l’elezione. Nelle primarie del mese di marzo il 75 percento degli elettori in California ha ricevuto schede elettorali per votare con la posta. Questa modalità di voto è programmata per le elezioni presidenziali del 3 novembre non solo da Stati liberal come la California ma anche altri guidati da governatori repubblicani.
Intanto la speaker della Camera Usa, Nancy Pelosi, intende riunire in settimana la Camera per far votare una legge a difesa del Servizio Postale Usa e di conseguenza del diritto di votare per posta. E’ intervenuto a sostenere Nancy Pelosi anche l’ex-presidente, Barack Obama, accusando l’amministrazione Trump di minare il servizio postale degli Stati Uniti nel tentativo di sopprimere i voti che la pandemia costringe ad esercitare attraverso la posta: “Quello che non abbiamo mai visto prima d’ora è un presidente che dice: ‘Cercherò di sabotare il servizio posta per incoraggiare il voto di persona’. Tutto ciò nel mezzo di una pandemia. E’ una cosa inaudita”.
Se Trump dovesse perdere le elezioni, nessuno si aspetta che si comporterebbe come qualsiasi altro Presidente. Egli dovrebbe infatti accettare la sconfitta con compostezza, fare le congratulazioni all’avversario, pronunciare un discorso istituzionale e sparire dalla vita pubblica. In realtà qualora Trump venisse sconfitto, resterebbe in carica comunque fino al 20 gennaio, giorno dell’insediamento del nuovo presidente. Questo periodo è molto importante, perché vi deve essere una cooperazione fra i due Presidenti per permettere alla nuova amministrazione di essere operativa fin da subito. Ma Trump, invece, resterà molto attivo nella vita pubblica americana, soprattutto attraverso Twitter la sua missione sarà invalidare il risultato del voto o comunque trovare delle soluzioni per ostacolare la transizione. Difficilmente Trump accetterà la propria sconfitta.