1-Il suo terzo romanzo “Acido” rappresenta per Lei un’evoluzione come scrittore?
Non so se si possa parlare di “evoluzione”, ma ho voluto provare, in questo romanzo, a cambiare prospettiva: non più personaggi maschili, più vicini al mio modo di vedere le cose, ma un’eroina al femminile, di cui dovevo cercare di descrivere, in maniera credibile, i desideri e il modo di sentire. Per me è stata una sfida di non poco momento.
2- E’ corretto dire che nel suo ultimo romanzo, lo scavo psicologico dei personaggi è ancora più accentuato?
Diciamo che nei primi due romanzi l’intrigo era risolto quasi esclusivamente sulla base di fatti e indizi, mentre in “Acido”, per capire cosa sia davvero successo, è essenziale spingersi ad esaminare (anche) il profilo psicologico dei personaggi. La protagonista stessa è combattuta tra quello che vede e quello che il cuore la spingerebbe a credere.
3- E’ giusto pensare ai luoghi descritti nel suo libro, non solo come a semplici sfondi ma come coprotagonisti di cui sono evidenziate le sfaccettature delle rispettive anime?
Come ogni migrante (vivo a Strasburgo, in Francia), sono affetto da sindrome nostalgica acuta, e uno dei motivi che mi spingono ad aprire un computer e scrivere storie è la possibilità di descrivere la natia patria lontana. Dubito di essere riuscito a rappresentare i luoghi in maniera efficace, ma, quantomeno nelle mie intenzioni, Torino, il Piemonte e la mentalità piemontese sono l’unico contorno possibile per le vicende narrate, di cui entrano a far parte integrante.
4- E’ vero che nel suo noir psicologico, gli elementi e i termini che appartengono alla materia giuridica, servono a rendere più credibile la storia, senza per questo deviare nel legal thriller?
È difficile, a mio avviso, tracciare una netta linea di distinzione tra “legal thriller” e romanzo giallo nel quale la storia si snocciola intorno a un processo, i cui tecnicismi assumono di conseguenza una certa importanza per la trama e il ritmo del racconto. Se tuttavia vogliamo definire il “legal thriller” come quello in cui la chiave di volta del caso risiede nel cavillo normativo, allora “Acido” non è legal thriller. Anna, la protagonista, è avvocato (o dovrei dire avvocatessa?), ed è quindi abituata a studiare i casi attraverso la lente delle definizioni giuridiche e delle rispettive conseguenze procedurali; ho ritenuto che fosse realista riflettere una parte di questi tecnicismi nel romanzo. Spero di non averli resi troppo aridi o troppo noiosi per il lettore.
5- È giusto pensare che nel suo romanzo la donna sia vista nella sua autenticità, senza falsature stereotipate o politicamente corrette?
Anna è una donna di mezz’età che vive la contemporaneità; ha una dose d’ipocrisia, come noi tutti, che le serve a sopravvivere in un mondo complesso e a non infrangere le convenzioni sociali. Di fronte al lettore, tuttavia, si mostra senza veli senza paura di rivelare i propri desideri nascosti e le proprie debolezze. Direi che quando racconta in prima persona, si sbarazza del politicamente corretto che tutti ci affligge.
6- Può dirci qualcosa riguardo al suo prossimo romanzo?
Purtroppo la scrittura non è il mio mestiere: vi posso dedicare pochissimo tempo, ritagliando sporadici momenti tra impegni lavorativi e famigliari. Ci sono stati giorni in cui pensavo che a causa di tali impegni “Acido” sarebbe rimasta opera incompiuta e, in tutta sincerità, non so se mi cimenterò in un quarto romanzo. Se dovessi farlo, tuttavia, forse si tratterà di una storia in cui, oltre agli elementi classici del giallo, giocheranno un ruolo essenziale i grandi mali della nostra epoca, come le epidemie e il riscaldamento climatico.