Pensa di trovarti sotto le macerie causate da un terremoto. Incastrato tra travi e mattoni crollati. Senza acqua. Senza cibo. Con poca aria. La tua unica speranza è che arrivino i soccorsi. I pompieri. La protezione civile. E li attendi con ansia. Ma loro non arrivano. Perché ha cominciato a piovere. E potrebbero prendersi il raffreddore. E il raffreddore potrebbe degenerare in polmonite. Con un rischio di morte. Dello 0,05 su un milione, certo. Ma comunque un rischio c’è.
E i pompieri non arrivano. E tu resti sotto le macerie…
Pazzesco, vero? Eppure è quello che sta accadendo in Italia. Con la scuola, e non solo. Ma la scuola non è, solo, un servizio essenziale, come i pompieri e la protezione civile, o i medici e gli infermieri degli ospedali… È la cartina di tornasole della stato di salute di una società.
E noi stiamo decisamente male. Perché la scuola, a quanto sembra, non esiste più.
Molte le cause. Molti i colpevoli. In primo luogo, sicuramente, un governo, e più in generale una classe politica, che non ha alba alcuna di cosa siano cultura ed istruzione. E non potrebbe essere altrimenti. Loro sono arrivati lì, parlamentari e ministri, non in forza della loro preparazione. Ma proprio grazie alla totale assenza di questa. È il trionfo dell’ignoranza, crassa e di sé compiaciuta. Lo slogan “Uno vale uno” ne è la sintesi.
Incompetenti, ignoranti – dal verbo “ignorare”, una constatazione, non un’offesa – improvvidi… E potrei continuare…
Ma l’insipienza dei vertici dello stato non assolve gli altri dalle loro responsabilità. Tutti gli altri.
A cominciare dai sindacati. Da tempo, ormai, adusi a difendere solo i loro privilegi. E a tutelare gli interessi dei peggiori, dei nullafacenti, degli squilibrati, a scapito di chi, nella scuola, lavora davvero, con serietà. E non viene premiato. Anzi…. dà fastidio. Non parlo per luoghi comuni. Ho fatto per 12 anni il rappresentante sindacale, senza nessuna esenzione dal servizio e senza prendere permessi, né retribuzione. E me ne sono andato sbattendo la porta…
Però, però… uno il suo lavoro lo deve fare a prescindere delle inettitudini altrui. È quello che un tempo si chiamava “senso del dovere”. Roba superata, certo. Lasciamola a quel vecchio barbogio del Mazzini… Dovrebbe, però, almeno sopravvivere un minimo di senso di dignità. Di rispetto di se stessi. Senza il quale non ci si dovrebbe neppure guardare allo specchio la mattina.
E quando sento di insegnanti che non vorrebbero rientrare in classe, per timore che la loro salute venga minacciata dal virus… Mi domando come facciano costoro a guardarsi in quello specchio. Senza sputarsi in faccia. Ma forse non corrono il rischio perché la Mascherina d’ordinanza la portano anche fra le mura domestiche.
Comunque lo spettacolo che sta dando la categoria degli insegnanti – la mia categoria, preciso, da quasi quarant’anni – è indecente e inverecondo. Certo, vi sono di sicuro molti che vogliono, come me, tornare in aula. Senza mascherine né assurdi “distanziamenti”, per usare l’aberrante neolingua in voga. E molti, sempre come me, che mai dalle aule sarebbero voluti uscire.
Ma non nascondiamoci dietro a un dito. Molti, troppi si stanno agitando perché non vogliono tornare alla normalità. Ovvero a lavorare sul serio. E non venitemi a tirar fuori la panzane della DAD, la fantomatica didattica a distanza. Certo, obtorto collo, l’ho utilizzata anch’io. E molto più della media. Ma era solo un mediocre palliativo. Quando non un autoinganno. Una sceneggiata. Non si fa davvero scuola così. Serve a poco. O nulla. E io mi sono sentito, per la prima volta, come se lo stipendio lo rubassi.
Gli insegnanti entusiasti della DAD, e non sono pochi, sono quelli a cui non piace insegnare. E che, forse, mai hanno davvero insegnato. E che così sono felici. Totalmente deresponsabilizzati. Pigri. In mutande e ciabatte… Un sogno… Per me un incubo. E per di più un incubo antiestetico.
Ma c’è di mezzo la salute, mi verrà detto. Che deve essere al primo posto. Ora, intanto, Costituzione alla mano, l’Italia sarebbe una repubblica fondata sul lavoro non sulla salute. E il diritto è quello di lavorare. Non di ricevere lo stipendio standosene sul divano…
Poi, non enfatizziamo questi rischi. Soprattutto non enfatizziamoli perché ci fa comodo. Se qualcuno – e insisto qualcuno, non centinaia di migliaia – ha davvero seri problemi di salute si avvalga degli strumenti che gli possono permettere, se ne ha età e requisiti, di essere messo anticipatamente a riposo. Gli altri la smettano, per favore, di accampare scuse. E di cercare certificazioni fasulle da medici compiacenti.
Avete paura? È un vostro diritto. Ma allora licenziatevi. Andate a fare altro. Possibilmente chiusi nella vostra cameretta, in guanti e mascherina. L’insegnamento non fa per voi.
Certo, con quello che scrivo mi farò ben pochi amici. Ma sono stanco di dovermi vergonare di essere un insegnante.
E sinceramente, a tutti quei colleghi che si infurieranno, si sentiranno offesi, mi limito ad augurare un’unica cosa.
Di trovarsi nel bel mezzo di un incendio. Con i pompieri che si rifiutano di intervenire. Per paura di scottarsi.