Un’apoteosi per Mina. Programmi dedicati alla “tigre di Cremona”, spezzoni di vecchie trasmissioni, persino la pubblicità della Tim. Un’icona, più che una cantante. Una voce impareggiabile, in Italia. Tutto vero. Ma siamo sicuri che tutto ciò significhi “successo”? Quante sono le canzoni di Mina che un giovane intona sulla spiaggia quando riesce a fuggire dal psicoterrore degli assembramenti? Quanti sono i brani di Mina che un diversamente giovane canticchia se gli capita di ascoltarli? Probabilmente quelli degli inizi, da Tintarella di luna alle Mille bolle blu. E forse i diversamente giovani si ricordano di quando hanno ballato sulle note di Insieme nelle feste in casa. Mogol Battisti, ovviamente. Ma poi?
Grandi interpretazioni, indubbiamente. Ma di brani che non creano emozioni. Splendida tecnica, poca anima. I grandi successi musicali femminili sono altri. Le interpreti che hanno scaldato il cuore sono altre. C’è solo l’imbarazzo della scelta tra i brani che vengono ancora cantati e che sono stati portati al successo da Ornella Vanoni, da Dalida, Mia Martini, Patty Pravo, Bertè, persino Mannoia e Turci. La capacità di trascinare della Nannini è infinitamente superiore alle canzoni create in studio dalla voce insuperabile di Mina. E questo senza scadere a livello di Orietta Berti.
Si cantano i brani del lavoro di Anna Identici, le canzoni popolari della Cinquetti, il rock di Irene Grandi, il folk di Carta e Ledda. Ma nessuno canta i successi di Mina. E se nessuno li canta, che successi sono? Se non entrano nell’anima e nei ricordi, a cosa servono oltre che al business? In fondo la tigre di Cremona si scontrava, agli inizi, con la pantera di Goro. Mina contro Milva. Belle voci, mancanza di anima. Milva ha rinunciato al successo popolare per diventare, anche lei, un’icona. Rovinata da Strehler che l’ha trasformata in qualcosa di falso, di costruito, di innaturale. Molto apprezzata, fintamente, dall’intellighentia radical chic che, in realtà, l’ha sempre disprezzata perché non ha dimenticato le origini. E incapace di liberarsi da quell’abbraccio sterile.
Meglio, molto meglio, mettersi a cantare in compagnia la pappa col pomodoro, la partita di pallone o datemi un martello.