“…A provocare la deflagrazione potrebbe essere stata l’esplosione”; “..sul seno e sul linguine..”; “..i due filoni Consip, quello napoletano e quello partenopeo..”; “..dopo aver tentato un misterioso tentativo di suicidio..”. Sono solo alcune delle perle raccolte da Stefano Lorenzetto, giornalista non più giovanissimo (“tutti poeti noi del ‘56..”) con l’handicap di avere una grande cultura che gli permette di scoprire gli errori dei colleghi. Quegli errori che, ormai, nelle redazioni non si correggono più e non soltanto per sciatteria ma per crassa ignoranza. Lorenzetto cita “insegnamo ai bambini”, senza i, in un editoriale di un grande quotidiano. Forse gli era sfuggito “provincia di Ivrea” (inesistente) del direttore di un ex grande quotidiano torinese.
Ma Lorenzetto va oltre e dagli orrori di redazione passa – in un godibilissimo libro “Chi (non) l’ha detto. Dizionario delle citazioni sbagliate”, pubblicato da Marsilio – agli errori generali nelle citazioni. Spesso ad opera di giornalisti ignoranti o pressapochisti, a volte diventati veri e propri tormentoni popolari attribuiti ai personaggi più diversi. E si scopre che non era stato Andreotti a pronunciare per primo la frase “a pensar male si fa peccato ma spesso s’indovina”, che Woody Allen ha scippato – probabilmente a Ionesco – la celebre “Dio è morto, Marx pure, e anche io non mi sento molto bene”. Dante viene spesso citato ignorando ciò che ha scritto davvero, D’Azeglio non ha mai detto “fatta l’Italia bisogna fare gli italiani”.
Tra anonimi, politici, letterati, santi, condottieri, filosofi, la lettura è estremamente piacevole, perché Lorenzetto riesce ad essere leggero anche mentre sfoggia una profonda erudizione, ma anche illuminante sui vizi profondi di chi vuole fare bella figura con citazioni che non conosce o non capisce. D’altronde, per utilizzare una falsa citazione, “le parole storiche sono quelle che i grandi personaggi hanno pronunciato dopo la loro morte”. Però bisognerebbe essere bravi, anche nell’inventare. Invece la sciatteria dilaga, si insegue la Ferragni per essere all’avanguardia. Ed il livello della disinformazione italiana diventa emblematico nel giornalismo basato sui luoghi comuni, sulle frasi fatte.
Lorenzetto ha provato, in redazione, a limitarne l’uso. E si è ritrovato ad aumentare il numero dei luoghi comuni utilizzati e sempre più insopportabili. Da “nel mirino” alle “auto impazzite”, dalla “bufera politica” al “rigoroso riserbo”, dalla “ridente località” all’evasione “rocambolesca”: un’infinità di banalità ripetitive, per evitare la fatica di pensare, di trovare il termine giusto, la parola più adatta. È il giornalismo “di qualità” secondo le dichiarazioni che compaiono sui quotidiani di servizio. Notizie false, opinioni di parte, scrittura da analfabeti. Davvero una meraviglia l’informazione italiana.