Piove, governo ladro. E, come è ormai prassi, se piove crolla un ponte, si allaga una città, muore qualcuno, scende una frana, si interrompe una linea ferroviaria, si blocca un’autostrada. Colpa del governo rossogiallo, di quello gialloverde, di quello rosso e basta, di quello azzurro e nero. C’è solo l’imbarazzo della scelta dei colori: cambiando la maglia dei ministri e degli assessori locali il risultato non cambia.
Si piangono i morti, si stringono mani, si stanziano soldi pubblici per l’emergenza, qualcuno se li mangia e alla prossima pioggia tutto ricomincia. Nel frattempo la sinistra si accoda ai gretini e le destre giurano che non piove. Il peggio, come d’abitudine, lo offrono i media di servizio che, nell’arco di pochi giorni assicurano che siamo nel mezzo del mese più caldo degli ultimi 50 anni per poi lamentarsi che è il mese più freddo dell’ultimo mezzo secolo. Passano senza pudore a seminare terrore sul rischio siccità e, a distanza di qualche settimana, si dedicano al racconto sulle piogge più intense a memoria d’uomo (che scarsa memoria hanno gli uomini che intervistano).
Ovviamente si sorvola sulle abitazioni costruite laddove, per secoli, non si era costruito nulla. Gli antichi erano idioti ed i palazzinari attuali dei super esperti ambientali. Soprattutto se investono in pubblicità sulla testata giornalistica. Si costruisce in località il cui nome dovrebbe sconsigliare ogni intervento, “valanga”, “frana”, “rovina”, “alluvione”. Certo, spesso i nomi dei luoghi sono in dialetto ed i palazzinari non lo parlano. Loro conoscono solo l’angliano, lo schifo nato dall’inserimento di parole inglese al posto di quelle italiane. E conoscono il linguaggio dei soldi. Magari quelli utilizzati per convincere i Comuni a concedere permessi assurdi.
Poi, di fronte ai disastri, gli amministratori hanno pure il cattivo gusto di turbarsi, di stupirsi, di chiedere soldi pubblici per rimediare a ciò che loro, per primi, hanno provocato. Ma a fin di bene, sia chiaro. Perché il cugino dell’amico doveva valorizzare il proprio terreno, trasformato da agricolo ad edificabile, per avere i soldi per il matrimonio della figlia. E si poteva dire di no al cognato del nipote che ha costruito dove non si doveva, ma solo per far crescere il paese con le case per i turisti? Sempre e solo per generosità, mai per interesse privato.
Certo non si possono accusare i governi lontani che, questi territori, li hanno sempre ignorati. Ferrovie eliminate laddove c’erano (risalivano ai tempi del Duce, dunque erano cattive), servizi mai realizzati, finanziamenti per il territorio mai stanziati. Il cemento, dunque, è tutta una questione locale. Mancando idee, si costruisce. Per poi maledire la natura quando piove e quando non piove, se c’è vento o se c’è il sole, per il caldo e per il freddo.
Ma gli speculatori no. Non hanno colpe. Pensano allo sviluppo. E guadagnano sulla ricostruzione.