Tanti anelano alla democrazia per eccellenza, la primogenita, nella quale gli elettori si riunivano personalmente e per alzata di mano erano chiamati a legiferare sulla cosa pubblica. Un meccanismo tanto lungimirante per l’epoca e ancora un punto di eccellenza del quale non siamo riusciti a fare di meglio se non per l’allargamento della platea dei votanti.
Molti ad oggi sono coloro che hanno smesso di interessarsi alla vita pubblica “se poi non sono io a decidere, tanto alla fine fanno come sempre pare loro”. La democrazia diretta esprime più di ogni altra cosa il concetto democratico, il concetto per cui collegialmente il popolo esprime il proprio animus e questa volontà collegiale si manifesta palesemente, senza passare per intermediari come avviene oggi e passando per un intermediario questa volontà non è sempre propriamente rispettata.
La funzione di un rappresentante eletto dal popolo che porta avanti le istanze del popolo stesso è un espediente: uno strumento auto-organizzativo delle società. Nessuno si sognerebbe ormai di riunire circa 50 milioni di italiani, ciò era possibile in una città stato greca con una platea di aventi diritto al voto contenuta e gestibile nonché in una realtà, in un perimetro, contenuto a livello di estensione territoriale.
La figura di un qualcuno che governi la comunità al posto della comunità e per sentenza della comunità, di per sé non è di certo da condannarsi: potrebbe fornire un vantaggio enorme per il governo dello Stato. Un soggetto erudito messo con il preciso scopo di governare, che può dedicarsi al governo dello Stato, studiare e analizzare le strategie migliori per condurre saggiamente l’avvenire della società è di per sé è una cosa meravigliosa.
Premessa cruciale e difficilmente realizzabile è che al governo ci devono essere le persone “migliori” appunto e a tal proposito è doveroso citare il “Discorso agli ateniesi” di Pericle – che, di certo, narra una società utopica – col quale non possiamo essere in disaccordo. Qui si pone l’enorme questione di cosa è Migliore che sicuramente si rifà al concetto di cosa è Giusto e cosa è sbagliato. Sarebbe legittimo pensare che ciò che sceglie la maggioranza è Giusto ma nessuno si sognerebbe di dire che il partito nazionalsocialista tedesco dei lavoratori fosse Giusto eppure secondo quanto detto dovrebbe esserlo…
Il problema di fondo enorme di tutta la questione è da ritrovarsi nel fatto che è impossibile definire il profilo univoco di un bravo governante e in base a questo profilo selezionarlo. Un bravo medico è colui che guarisce i pazienti e su questo siamo tutti in accordo, così come un bravo prete è un prete che sta vicino alla gente o dotato di una inflessibile moralità, così come un bravo insegnante è qualcuno che ispira i propri alunni o ancora un bravo atleta è colui che vince… possiamo arrivare perfino a dire che qualcuno è una brava persona, ma ecco non esiste una definizione per un buon governante poiché, per taluni, un bravo statista è qualcuno che prende determinate decisione in materia di distribuzione della ricchezza o in materia di politica migratoria mentre, per altri, un bravo governante è colui che applica politiche diametralmente opposte (tanto per citare i due argomenti più scottanti e esplicativi di ciò che vorrei far emergere).
Un dentista impara per sei anni a guarire denti, apprende un metodo, una tradizione e si può dissertare sulle metodologie ma curare i denti è universalmente riconosciuto come una cosa positiva, la stessa cosa non può avvenire per uno statista. Uno statista per governare deve attuare politiche che non sono universalmente riconosciute come giuste, ed è proprio qui che c’ è la particolarità. L’obiettivo di fondo che prima, nel caso del dentista, era universalmente riconosciuto: curare i denti; ora nel caso del governante non lo è . Proprio in questa sottile frase sono racchiuse guerre, rivoluzione, congiure e razzie.
Si dà per scontato che gli elettori abbiano capacità di discernimento, per questo la figura di un rappresentante, quasi in un’ottica di democrazia verticale, non è completamente da demonizzare, certo è che in questo ruolo andrebbero poste persone sagge, integre che sono completamente disinteressate a loro stesse, con un senso di abnegazione assoluto e ciò è assai arduo da realizzare.
Alla luce di tutto ciò, forse praticare di più una democrazia diretta velocizzerebbe incredibilmente il processo decisionale della vita dello Stato e metterebbe al centro la vera volontà delle persone, che è l’ obbiettivo principe per qualsiasi società giusta. E poi ci sono questioni morali ed etiche che non si possono risolvere in altro modo se non con un voto popolare, per il semplice motivo che non esiste un giusto o sbagliato, dipende semplicemente dal sentito delle persone sulle quale si può essere solo d’accordo o no.
All’inizio abbiamo identificato la comparsa della figura dell’intermediario fra la volontà pubblica e le politiche dello Stato come un problema essenzialmente logistico: con l’aumentare dalla popolazione, dell’estensione degli imperi è divenuto impossibile trovare un posto per far esprimere la volontà popolare nel modo in cui si usava fare nell’ Atene antica. Tuttavia, ad oggi siamo davanti a una svolta epocale in questo senso poiché quel luogo si potrebbe ricreare con non molta difficoltà attraverso le tecnologie telematiche e informatiche. Esse sarebbero un efficientissimo modo per ricreare la democrazia ateniese, probabilmente ci sarebbe una atmosfera meno romantica, suggestiva o poetica rispetto a 40.000 persone che alzano la mano in uno anfiteatro, però il risultato raggiunto sarebbe esattamente lo stesso.
Pure i referendum odierni, timido rimando dell’epopea della democrazia ateniese, diventerebbero più efficienti così come le elezioni in generale. Si stima che ad ogni turno elettorale si spendano circa 380 milioni di euro per l’organizzazione, la logistica e il pagamento degli stipendi del personale addetto alla votazione, e questo senza parlare dell’enorme quantità di carta e materiale di vario genere che andrebbe risparmiato; o ancora della paralisi del sistema scuola durante le votazioni. Insomma, tutte cose che si potrebbero ovviare con l’utilizzo di strumenti digitali senza spostamenti ai seggi, e in epoca di Coronavirus sarebbe stato estremamente auspicabile.
Oggi disponiamo delle tecnologie per assicurare la privacy di chi vota, così come l’integrità della votazione espressa, abbiamo infatti imparato a interagire con l’identità digitale. Non per ultimo grande aiuto in questo senso potrebbe provenire dall’alveo delle tecnologie blockchain, sempre associate all’ ambito delle criptovalute ma che si potrebbe riconvertire anche a contesti diversi come quello appunto delle votazioni elettroniche. Esse garantirebbero un’anonimità totale e in questo senso ci sono già feedback incoraggianti da altri paesi.
Sicuramente la difficoltà più grande nell’adozioni di questo nuovi sistemi sarà data dalla diffidenza della gente, dalla ignoranza e anche un po’ dal velo di misticismo che gira intorno a queste avanguardistiche tecnologie. Un background culturale che ancora ci porta ad essere scettici, e a sentire estranei questi strumenti. Un ottimo passo in avanti potrebbe essere investire sull’alfabetizzazione digitale fin dai primi stadi della vita accademica. Ormai siamo tutti abituati, per usare un eufemismo, a smartphone o computer ma in pochi hanno piena consapevolezza di tali strumenti. Sicuramente ad oggi non siamo ancora pronti per questo cambiamento così radicale ma questo è il futuro che, inesorabile, sta prepotentemente entrando dalla porta principale.