Tutti in attesa, nel centrodestra subalpino, che Paolo Damilano stappi una bottiglia del suo Barolo ed accetti la candidatura per diventare sindaco di Torino. I partiti che dovrebbero portargli i voti sono caldamente invitati a fare non un passo indietro ma almeno 5 o 6. Magari in direzione di un burrone in cui scomparire. Perché lui, il grande imprenditore delle bevande (vino ed acque minerali), vuole campo libero. Vuole una sua squadra, libera dai partiti.
Difficile dargli torto, considerando la qualità di chi dovrebbe appoggiarlo. Già, ma perché dovrebbe appoggiare un candidato che è stato collocato dal centrosinistra al vertice della Film Commission? Perché dovrebbe appoggiare un candidato che ha la sua gente, la sua squadra? Che non si è degnato di confrontarsi né con la città né con le organizzazioni dei partiti? Unto da Salvini, può davvero bastare?
È vero che, a sinistra, le eventuali primarie (sempre che si facciano) saranno decise a tavolino prima ancora del voto e serviranno solo per promuovere il candidato deciso dalla segreteria. Ma un briciolo di confronto con la base non farebbe male a Damilano. Magari per cominciare a delineare un programma. Sì, quella cosa strana che, dopo il voto, viene dimenticata ma che, prima, serve per compattare i sostenitori.
Che idea ha, di Torino, il candidato di Salvini? E la sua squadra? Chi intende mobilitare per farsi sostenere? I soliti nomi privi di seguito? E perché mai dovrebbe ottenere dei voti? Solo perché non è stato indicato dal Pd, in questo caso? Davvero molto poco per vincere.