I “corpi intermedi” non esistono, però ci sono. E non piacciono più agli italiani che, tuttavia, considerano il loro ruolo utile per uscire dalla crisi. La ricerca, condotta da Ipsos, offre risposte stravaganti sulla percezione di questi corpi intermedi da parte di una popolazione che non ha ben chiaro di cosa si tratti. E che, quando conosce la realtà, esprime una sacrosanta sfiducia accompagnata, però, dalla speranza di un cambiamento.
Ovviamente ci sono distinzioni, e non da poco, nei giudizi relativi ai differenti corpi intermedi. I sindacati, ad esempio, paiono aver esaurito la propria missione di tutela dei lavoratori. Parolai senza più un rapporto reale con il mondo del lavoro. Asserviti ad un potere sempre più lontano dal popolo. Hanno perso anche il ruolo di cinghia di trasmissione per il semplice fatto che il Pci non esiste più e che il Pd ha scelto di schierarsi dalla parte degli oligarchi, in totale contrasto con le fasce più deboli italiane.
Anche i nuovi vertici della Triplice hanno perso ogni credibilità, per il modesto livello personale in rapporto ai rispettivi predecessori.
Il servilismo tipico italiano ha invece permesso a Confindustria di uscire meglio dalla ricerca. Perché si ha la consapevolezza che la confederazione padronale pensi solo ai propri interessi e penalizzi quelli dei lavoratori. Però si ha ancora la speranza che qualcuno, in Viale Astronomia, si renda conto che lo sfruttamento non porterà alla ripresa e che, di conseguenza, anche Confindustria inizi a pensare al bene collettivo. Una speranza che assomiglia molto alla disperazione.
D’altronde alternative non si vedono. La sfiducia nei confronti dei politici è totale. Come è totale la consapevolezza che questa classe dirigente politica non è in grado di favorire la ripresa, il rilancio. In realtà neppure la sopravvivenza.
Ma un altro aspetto della ricerca Ipsos è particolarmente curioso. Gli italiani credono nel ruolo della cultura e vorrebbero che anche i corpi intermedi ne fossero più permeati. Basta con le comparsate da Barbara D’Urso, basta con le buffonate in stile Uomini e Donne, basta con i programmi spazzatura della De Filippi, con le Isole degli sfigati, con le case dei grandi fratelli con problemi caratteriali.
Non è con questi livelli di spettacolo che si fa crescere un Paese.
Un segnale che diventa drammatico per una opposizione che ha sempre avuto il terrore della cultura, che ha sempre avuto un complesso di inferiorità. Che ha sempre affidato la cultura delle Regioni che ha amministrato a personaggi improponibili (e non bastano le rarissime eccezioni – come Marzio Tremaglia in Lombardia e Philippe Daverio a Milano – per modificare la realtà).