Se per precario si intende ciò che è incerto, in attesa di definizione da decisioni altrui o di eventi prossimi, allora questo è certamente lo stato del mercato del lavoro in Piemonte. Se invece consideriamo il termine di “precariato” del lavoro stabile e duraturo, ebbene, le proiezioni degli ultimi anni e le prospettive per il prossimo futuro sembrano essere favorevoli.
Questo è il dato che emerge dalla relazione IRES Piemonte sul 2019 e la prima parte dell’anno corrente, pubblicato recentemente e disponibile sul sito Internet dell’istituto di ricerca socio-economica regionale. Nel quale si considera proprio l’anno passato come momento di consolidamento della moderata, ma costante, ripresa del quadro lavorativo a partire dal 2008 e, quindi, nuovo punto di riferimento per i periodi a seguire.
Anche perché negli ultimi dieci anni sono avvenute varie trasformazioni di carattere generale nel settore produttivo regionale, che hanno riguardato l’innovazione portata dal nuovo paradigma tecno-economico digitale e lo sviluppo del commercio internazionale, e di tipo demografico e culturale.
La prima cosa che si nota, scorrendo le tabelle dei dati occupazionali nel 2019, è che il numero degli occupati è rimasto stabile rispetto all’anno precedente, mentre i disoccupati sono calati dell’8% (circa 13.000 unità) quasi esclusivamente fra i maschi: le motivazioni sono dovuto alla contemporanea riduzione della popolazione residente, con quasi 20.000 persone emigrate in altri paesi, o a causa della dinamica negativa dell’invecchiamento della popolazione, registrate in un solo anno [dati Rilevazione Forza Lavoro ISTAT 2018-19].
I posti lasciati liberi dagli uomini in fuga all’estero o che hanno deciso di non cercare più lavoro (aumentati del’11%), o che sono ufficialmente disoccupati, sono stati occupati dalle donne che, nell’anno passato, hanno segnato dati positivi sia fra gli occupati che fra coloro che cercano, nel range di età fra i 15 e i 64 anni. Tenuto conto che anche per il gentil sesso valgono le tendenze verso l’invecchiamento e la riduzione delle popolazione.
Peraltro, sono in aumento (+14.000) gli occupati nella fascia di età oltre i 64 anni, soprattutto per via del progressivo innalzamento dell’età di ritiro dal lavoro e degli anni necessari a raggiungere il diritto alla pensione. A questo dato positivo si aggiungono quelli dei giovani fino a 24 anni e dei lavoratori stranieri, che in un anno sono cresciuti di 10.000 unità, mentre è stato doppio invece il valore di aumento dei dipendenti che possiedono una qualifica o un diploma.
Altra informazione peculiare del 2019 è stato il netto calo degli autonomi (-6.000 unità), coperto quasi interamente dal contemporaneo aumento dei lavoratori dipendenti, con un’incidenza del 23% sulla forza lavoro totale, comunque ancora superiore a quella delle altre regioni d’Italia. Questa è la categoria lavorativa che più ha pagato la crisi Covid19 e che probabilmente subirà i maggiori danni con le nuove limitazioni che si paventano per i prossimi mesi. Nella sfera dei lavoratori dipendenti, invece, va registrato l’aumento dei contratti a tempo indeterminato, rispetto a quelli a termine, così come di quelli a part-time (ormai il 19% del totale). In questo caso, quindi, si può affermare che il precariato del lavoro è in fase recessiva, favorendo contratti più stabili e impostati sul tempo parziale soprattutto a favore del genere femminile.
Riguardo ai settori economici, continua la crescita dell’occupazione del primario dell’agricoltura, che vede un +9% totale proporzionalmente distribuito fra nuovi dipendenti e imprenditori. In questo spicchio di economia regionale rientrano anche l’industria alimentare, che in Piemonte può ancora vantare marchi prestigiosi e grandi player nel mondo (Ferrero, Lavazza, Cinzano e Gancia su tutti), e la filiera del vino, con le grandi eccellenze di prodotto D.O.C. e D.O.C.G. distribuito ovunque. Ma si tratta solo del 3% della forza lavoro totale piemontese, concentrata in maggior modo nelle provincie di Cuneo, Asti e Novara.
Segue il settore industriale, che raccoglie circa un terzo dei lavoratori piemontesi in aumento di 5.000 unità, cui però fa fronte la drastica riduzione del 6% delle costruzioni e dell’11% fra gli imprenditori del settore. Infine, nel terziario si è avuto un aumento di 10.000 unità dei dipendenti a fronte della chiusura di circa 3.000 attività di pubblico servizio, che sono state però controbilanciate dall’apertura di altre attività di servizi diversi.
In generale, nel 2019 si sono avuti aumenti di tutti gli indicatori occupazionali standard, tranne per il rapporto fra la forza lavoro e la popolazione nella fascia di età centrale (15-64), mentre quello fra gli occupati e la medesima forza lavoro è leggermente cresciuto al 66%, così come sono cresciuti gli altri indici relativi per genere e fasce di età. Dati che però risultano peggiori di quelli delle altre grandi regioni produttive del Nord (Lombardia, Veneto e Emilia-Romagna), anche se influenzati dal trend di crescita della popolazione generale e della forza lavoro, che se per il Piemonte è negativo, per le altre regioni raffrontate è stabile o in crescita.
Questi calcoli specifici fanno ben sperare per il futuro, dato che le informazioni relative ai nuovi contratti di lavoro denunciate dalle aziende in Piemonte nel 2019 vedono un netto aumento sia di quello a tempo indeterminato, sia di quelli per apprendistato. La spiegazione sembra essere [ndr] che le aziende locali stanno cominciando a ottenere esiti positivi dagli investimenti in know-how e tecnologia e quindi ricevono più commesse di lungo periodo, che permettono di regolarizzare il lavoro precario e poter avviare nuove risorse attraverso la formazione e l’apprendistato.
Tendenze positive che riguardano in modo particolare le donne, gli extracomunitari e i lavoratori maturi.
Resta il problema di recuperare la forza lavoro che possiede bassi titoli di studio o scarsamente qualificata, difficilmente riassorbibile in altri processi produttivi, in modo particolare per le età superiori, mentre i maschi delle generazioni più giovani hanno preferito cercare lavoro fuori dal Piemonte (o dall’Italia) o rimanere in attesa di tempi migliori. A pagare maggiormente questi squilibri sono state le province di Alessandria, Biella, Verbano-Cusio-Ossola e Vercelli, dove la disoccupazione ha avuto i maggiori picchi a causa di importanti processi di ristrutturazione delle grandi imprese e della chiusura di numerose Pmi.
Su questo quadro tendenzialmente positivo si è abbattuta la crisi economica dovuta al Covid19, che ha colpito soprattutto alcuni settori del terziario (commercio, servizi alla persona, bar, ristorazione, attività sportive, etc.), più esposti alle norme Dad e alle limitazioni di orario, dando opportunità ai servizi digitalizzati e tecnologici, in forte sviluppo, e ai tradizionali segmenti della agroalimentare e della logistica materiale. Con il paradossale fenomeno che la riduzione dei servizi “non essenziali” potrebbe indurre alla contrazione dell’industria dei relativi beni e al taglio di posti di lavoro creati con i più recenti investimenti di capitale.
A questo punto, diventa cruciale l’intervento pubblico per proteggere i redditi (ammortizzatori sociali e altre forme di sostegno temporaneo) e facilitare il finanziamento per investimenti alle Pmi e ai professionisti, che sono il segmento più a rischio di contrazione e quindi di riduzione dei posti di lavoro o di precarizzazione del lavoro stesso. Inoltre, resta fondamentale l’uso della leva della spesa pubblica per aumentare la domanda aggregata interna e rispondere direttamente ai bisogni primari dei cittadini. Decisivo è il compito di guidare la fuoriuscita dalla crisi nella cd. “fase 3”, quando le scelte di investimento e di prodotto porteranno al successo chi innova e all’estinzione gli attendisti o coloro che riducono gli impieghi.
Durante la “fase 1” hanno perso il posto di lavoro soprattutto i più giovani e coloro che avevano un contratto a termine, in modo preponderante nel settore dei servizi e in minor misura nella produzione industriale, che in qualche modo ha potuto proseguire l’attività o si è convertita. Gli unici segmenti in cui il lavoro è aumentato in forte misura (oltre il 30%) sono stati la sanità e l’assistenza e il lavoro domestico, insieme alla formazione (evidentemente “a distanza”) che ha toccato addirittura un +46,1%! Il “lockdown” invece non ha svantaggiato alcune delle industrie strategiche della regione come la chimica-farmaceutica, la sanità, la logistica e l’alimentare, mentre siamo in attesa di capire cosa accadrà nei prossimi mesi nell’importantissimo settore del tessile e nell’automotive, tradizionalmente trainanti per l’economia regionale e nazionale. Le uniche figure professionali che al momento hanno retto alla recessione sono le professioni ad altra specializzazione e gli impiegati esecutivi.
È evidente che le scelte strategiche di politica economica della Regione Piemonte nei prossimi mesi, che si materializzeranno nel consueto Bilancio di previsione per il triennio a venire, saranno decisive sia per la tenuta dell’economia regionale, e quindi per recuperare quel trend positivo iniziato nel 2008 e “sospeso” causa virus, sia per imprimere una direzione strategica agli investimenti e alle scelte produttive delle aziende locali.
Su tutto ciò, però, aleggia il Covid19 e la sua gestione politica e sanitaria nazionale…