I politici dovrebbero avere, tutti, almeno un briciolo di senso del ridicolo. Erik Lavévaz, da poco presidente della Valle d’Aosta, ne è completamente privo, nonostante una certa somiglianza con il ragionier Fantozzi. Così, di fronte all’imposizione romana che ha trasformato la regione alpina in una colonia di untori bloccati nella zona rossa, la reazione di Lavévaz è stata involontariamente ridicola. O patetica.
Meno male che ci hanno messo agli arresti domiciliari – ha detto in pratica – perché stavamo per farlo noi. Forse ha confuso la zona rossa con la zona franca. Il problema non è se la Vallée è alle prese o meno con una situazione disastrosa, pericolosa. Bensì il ruolo di un presidente di una Regione autonoma e che, di questa autonomia, ha fatto una bandiera.
D’accordo che Lavévaz si è insediato da poco, ma avrebbe dovuto sapere che anche i precedenti decretini del lìder minimo erano modificabili in senso restrittivo. Dunque se la Valle era al collasso, il governo locale avrebbe potuto già chiudere tutto ciò che riteneva opportuno. Come ha fatto il presidente del Sud Tirolo e come han fatto anche numerosi presidenti di Regioni che autonome non sono.
Ha ritenuto di non farlo. E va bene lo stesso. Ciò che è davvero insopportabile è il servilismo dimostrato ora, per vellicare i suoi compagni di giunta del Pd, seppur mascherati come “civici”. Perché sostenere che i provvedimenti della lontana Roma hanno anticipato un’idea che stava maturando ad Aosta significa solo riconoscere i propri ritardi, la propria inadeguatezza ad affrontare l’emergenza. Mica male come esordio di un presidente autonomista..