Sicure l’alpi… Libere le sponde…
E tacque il Piave: si placaron le onde…
Sul patrio suolo, vinti i torvi Imperi,
la Pace non trovò
né oppressi, né stranieri.
Sono i versi conclusivi della Leggenda del Piave, il mancato inno nazionale per una squallida ripicca democristiana. Ma forse è meglio così. Qualcuno si immagina il ministro Lamorgese che, per celebrare il 4 novembre (data della vittoria nella prima guerra mondiale) canta “sicure l’alpi..libere le sponde”? E che conclude con il riferimento alla cacciata degli stranieri? Quanto agli “oppressi”, gli oligarchi che stanno succhiando il sangue a questo Paese scoppierebbero a ridere. Come hanno riso, giustamente, quando Giggino ha annunciato la fine della povertà.
D’altronde qualcuno, ben prima di Giggino, aveva scherzato sull’argomento: “La guerra alla povertà è terminata. E i poveri l’hanno persa”.
Un Paese abituato alle sconfitte. E quando si vince, come nel novembre del 1918, subentra subito l’imbarazzo. Meglio una vittoria che sia almeno mutilata. Meglio le vittorie a tavolino, mica solo nel calcio. Come nella terza guerra di indipendenza. Perdere sul campo e poi aggiustare tutto dopo. Meglio conquistare Napoli senza sparare neppure un colpo, perché Garibaldi doveva solo difendersi dai troppi abbracci interessati.
La vittoria ha molti padri mentre la sconfitta è orfana. Sì, ma solo dopo. Quando si può saltare sul carro dei vincitori senza rischiare neppure una slogatura alla caviglia. E purché sia una vittoria regalata dagli altri.
Per questo il 4 novembre non è una data da ricordare. Meglio l’onanismo intellettuale su Caporetto. Perché la difesa sul Piave diventa scomoda ed ancor più scomoda l’avanzata verso Trento e Trieste. E l’ignobile cacciata dello straniero? Invece di costruire ponti per accoglierlo, si erano fatti saltare per non farlo avanzare. Come si fa a spiegarlo a monsu Bergoglio ed ai magistrati siciliani? Meglio cancellare il 4 novembre e passare direttamente al 5.