Sono tutti concordi nell’ affermare che molte delle vittime provocate dalla pandemia di Covid-19 nella fase iniziale siano imputabili alla debolezza della nostra medicina territoriale, soprattutto in Lombardia. Per potenziarla bisogna modificare il ruolo del medico di famiglia riportandolo ad un ruolo professionale, liberandolo di incombenze innaturali e inutili.
A tutti sono noti i problemi connessi all’effettuazione dei tamponi Covid-19; è un serio indicatore che segnala la necessità di riformare e potenziare le strutture della medicina territoriale in senso lato, ma è anche la dimostrazione del livello della loro capacità di dialogare con immediatezza con gli altri presidi: ospedali, centri di alta specializzazione e di ricerca.
Le strutture sanitarie territoriali, ancora una volta, si sono dimostrate insufficienti, al punto da sottoporre i pazienti a notevoli stress per le lunghissime attese per effettuare il tampone. Se non c’è il massimo coinvolgimento delle strutture di base, le difficoltà non si supereranno. Fermo restando che nell’immediato futuro dovrà essere dedicata massima attenzione al potenziamento e alla razionalizzazione della medicina territoriale.
Negli ospedali di tutta Italia mancano gli infermieri. La Campania è al primo posto assoluto per carenza di infermieri per fronteggiare l’emergenza sanitaria. Mancano dalle 10 alle 12 mila unità per contrastare la pandemia. Al secondo posto abbiamo la Lombardia ed il Piemonte è tristemente al terzo posto. Le nuove pochissime assunzioni fanno scattare l’allarme. Gli scenari interni sono pessimi, prevale la disorganizzazione, il precariato, si ricorre a nuovi turni massacranti.
Il Presidente Nazionale del Nursing Up, Sindacato degli Infermieri Italiani, mostra un report che fa comprendere quanto sia inadeguato ilnumero di infermieri per fronteggiare le aree Covid della sanità pubblica. La pandemia richiede un incremento di personale infermieristico e di supporto, per il maggior impegno e rischio nell’assistenza erogata ai pazienti Covid positivi, cosa che al momento non è affatto avvenuta nelle Regioni in assoluto più colpite dal coronavirus nella prima ondata della scorsa primavera.
In Campania la carenza di infermieri oscilla intorno alle 12 mila unità. Numeri impietosi ma che non sorprendono pensando ai tagli messi in atto negli ultimi anni.
In Piemonte sono 3.500 gli infermieri mancanti per fronteggiare oggi la battaglia contro il virus. A causa dell’aumento dei ricoveri anche la chiesa dell’ospedale San Luigi di Orbassano (Torino) si prepara ad accogliere i pazienti Covid. Come già accaduto per quella del Martini di Torino, alcune file di brandine sono state allestite al posto dei banchi per i fedeli. L’ospedale San Luigi ha tenuto aperto il pronto soccorso e, grazie alla riconversione nei mesi scorsi di quattro reparti, erano stati messi a disposizione 135 posti letti per pazienti a bassa intensità di cura.
È chiaro che la buona performance dimostrata dalla sanità tedesca sia da ricondurre alla presenza in Germania di una robusta sanità territoriale. Molte delle vittime provocate dalla pandemia di Covid-19 nella fase iniziale sono imputabili alla debolezza della nostra medicina territoriale. La rete dei nostri medici di base è debolissima. Ma non è debolissima perché i medici di base sono pochi o perché non sono dotati di strutture adeguate. I nostri medici di base sono debolissimi per il ruolo in cui sono confinati dall’assetto istituzionale della nostra sanità.
Rafforzare la medicina territoriale dovrebbe comportare il rinforzo del ruolo del medico di famiglia, eliminando tutta una serie di attività burocratiche a carico del medico e che non hanno nessuna funzione sanitaria ma solo una funzione di controllo burocratico.