Electomagazine, grazie alla collaborazione con il think tank Il Nodo di Gordio, lo aveva anticipato la scorsa settimana: Putin stava andando incontro alla prima netta sconfitta nello scontro tra Azerbaigian ed Armenia per il controllo del Nagorno Karabakh. Mosca voleva uscire a tutti i costi dal conflitto, anche a costo di imporre le dimissioni del leader armeno. Perché la guerra sul terreno creava contrasti sempre più evidenti con la Turchia, storico alleato dell’Azerbaigian, ma anche con l’Iran che stava prendendo le parti di Baku.
Dunque era necessario chiudere la partita, mettendo in conto le inevitabili proteste a Yerevan. In cambio i soldati russi si posizioneranno a difesa della popolazione a maggioranza armena nel territorio che fa parte dell’Azerbaigian. Non dovrebbe essere un problema irrisolvibile. Baku non voleva una pulizia etnica ma solo la sovranità sulla regione. Non a caso l’ambasciatore azero in Italia aveva proposto, in un convegno del Nodo di Gordio, di adattare al Nagorno Karabakh l’autonomia riconosciuta dall’Italia al Sud Tirolo. Se l’Italia avesse avuto un ministero degli Esteri, avrebbe potuto avere un ruolo determinante in tutta la vicenda, recuperando un briciolo di prestigio internazionale.
Comunque ci ha pensato Putin. Qualche osservatore può ritenere che la decisione abbia a che fare con le voci sulla presunta malattia (Parkinson) del leader del Cremlino, tale da spingerlo a dimettersi all’inizio del prossimo anno. In realtà si tratta di una scelta comunque obbligata. A Mosca interessa la propria presenza in Armenia, non nel Nagorno Karabakh. E non aveva nessuna voglia di impegolarsi in una guerra costosissima (in termini di vite umane oltre che di denaro) contro la Turchia che ha il maggior apparato militare della Nato al di là degli Stati Uniti.
A Putin interessa di più la Siria, dove avrà sempre più bisogno della sponda iraniana. Perché l’elezione di Biden, brogli o non brogli, cambia molti scenari. Trump non voleva guerre per gli Usa, considerava (giustamente) il Mediterraneo un mare di interesse europeo. E la Russia ha potuto rafforzare la propria presenza. I dem Usa, al contrario, sono tradizionalmente imperialisti, pronti ad esportare la propria democrazia, ed i propri interessi, con le bombe e con le stragi. Oltre che con i finanziamenti alle rivolte create a tavolino.
Dunque Putin deve accelerare il rafforzamento di Assad in Siria prima che esplodano nuove rivolte spintanee pagate da Washington. Ma deve osservare anche ciò che accade nell’ex blocco sovietico. La famiglia Biden ha interessi in Ucraina dove gli scontri, sempre su spinta Usa, potrebbero ricominciare. E poi si dovrà analizzare la posizione dei Paesi Visegrad. Posizioni già molto diverse tra loro, con una Polonia terrorizzata dal fantomatico pericolo russo e con l’Ungheria interessata a sempre più proficui scambi non solo commerciali.
Senza dimenticare, ovviamente, Ankara. Erdogan sta giocando in contemporanea su più tavoli ed il successo in Nagorno Karabakh serve anche come avvertimento a Macron ed alla Francia, unico avversario europeo in Libano, in Libia, nelle isole greche.