L’emergenza Coronavirus mette a nudo tutte le fragilità dell’Italia e semina rabbia tra le fasce della popolazione meno garantite. E da nord a sud si corre il rischio di un’esplosione di proteste. L’esistenza del lavoro sommerso pone due grandi problemi: minori entrate fiscali e inferiori livelli di servizi. I lavoratori irregolari infatti non hanno alcun diritto: né una pensione adeguata, né un limite di orario e né un aggiustamento del salario alla produttività o all’inflazione.
Secondo i dati dell’Istat, più del 75% degli occupati irregolari si concentra nel settore terziario. L’Istat li quantifica in 3,7 milioni, di cui l’80% al sud. Sotto Roma, quindi, sarebbero ben 3 milioni i lavoratori senza contratto regolare, spesso mal pagati e senza possibilità di mettere da parte qualcosa per i periodi bui come questi e che possono finire sulla strada da un giorno all’altro, senza avere diritto a un’indennità di disoccupazione o alla Cassa integrazione.
La regione del Sud Italia con il maggior tasso di irregolarità degli occupati è la Campania. Si spiega anche per questo il tergiversare a inserire questa regione da subito in zona rossa. I cosiddetti lavoratori in nero sono “invisibili” per lo Stato, conteggiati formalmente come inoccupati o inattivi. Invece, sono le prime vittime di ogni crisi e, a maggior ragione, di questa chiusura prolungata delle attività economiche.
Nelle zone rosse a un posto di blocco, un lavoratore in nero non può esibire alcuna auto-certificazione per giustificare i suoi movimenti, non può dire di recarsi in azienda, perché formalmente non è occupato. Costretto a restare a casa, non percepisce alcuna retribuzione, né un sostegno. Quando i casi sono pochi, tutto sommato l’economia riesce ad assorbire il colpo, ma quando milioni di lavoratori formalmente inesistenti si ritrovano tutti a casa e senza tutele, la situazione sociale diventa tesa ed esplosiva.
Oltre ai lavoratori in nero si prevede che saranno le partite IVA a rappresentare fonte di forte malessere. Siamo abituati ad associarle ai grandi professionisti, a fasce sociali finanziariamente robuste e che senz’altro possono permettersi un fermo di qualche mese senza accusare perdite irreparabili. In molti casi, però, non è così. Molti lavoratori autonomi oggi sono semplicemente dipendenti mascherati, cioè giovani costretti ad aprire la partita IVA per collaborare con uno studio professionale, un’impresa in quanto non vengono assunti direttamente per evitare la burocrazia e i costi annessi al lavoro subordinato. Molti nemmeno posseggono un conto corrente, non avendo nulla da accreditarvi o dovendo sfuggire ai controlli del Fisco, avendo entrate non dichiarabili.
Molti avranno sentito parlare di “finte partite iva”. Sono molti i datori di lavoro che obbligano ad aprire partite iva i lavoratori per non assumere con contratto di lavoro subordinato. L’intervento di Federcontribuenti su Decreto ristori e Recovery Fund fa emergere una triste realtà. L’impatto economico dei due decreti ristori è pari a 6,6 miliardi di euro, finora son stati fatti bonifici per poco meno di un miliardo a fronte di una perdita di fatturato di tutte le piccole imprese italiane di oltre 220 miliardi di euro. Non è stata inoltre prevista alcuna sospensione dei pagamenti né alcun contributo per moltissimi titolari di P. Iva che si son visti inviare in queste ore gli F24 per Iva o INPS o INAIL dai propri commercialisti. Il 65% delle imprese ha una grave mancanza di liquidità per far fronte alle spese che si presenteranno fino alla fine del 2020.
I soldi del recovery Fund non arriveranno prima del 2022. Il governo sembra non avere soldi per i medici ma in compenso abbiamo banchi con rotelle divertenti e monopattini utilissimi. Tutti i lavoratori autonomi invitano il governo ad agire sulla scadenza del 10 dicembre per quanto riguarda la rottamazione e il saldo e stralcio delle cartelle Equitalia.
Tutti coloro che hanno aderito a questa rateizzazione, si trovano costretti a dover pagare entro il 10 dicembre tutte le rate in un’unica soluzione del 2020, in particolare quelle da marzo in poi del periodo covid. Lo Stato italiano non sembra essere consapevole che le vendite online, in questo triste 2020 sono quintuplicate, peccato che gli introiti finiscano nel 92% dei casi fuori Italia. Le Camere di Commercio territoriali non hanno pensato ci fosse urgenza di esaminare il problema. Ci chiediamo perché lasciare tutto in mano ai giganti del web.
Privare milioni di famiglie di un reddito così a lungo comporta l’assunzione di rischi sul piano della tenuta non solo sociale, bensì delle stesse istituzioni. Stanno venendo a galla tutte le problematiche ignorate per anni, spesso decenni, dai governi. L’emergenza Coronavirus sta mettendo a nudo tutto quello che non funziona dell’Italia e che non abbiamo voluto o saputo affrontare nemmeno dopo la crisi del 2008/’09. Appare necessario comprender che, per combattere il lavoro nero, occorrono politiche che riducano il costo del lavoro e/o la rigidità del mercato, evitando che il contrasto al settore irregolare provochi una contrazione dell’economia e ulteriore disoccupazione.