Laura Ravetto, Federica Zanella e Maurizio Carrara lasciano Forza Italia e passano alla Lega. Ufficialmente perché imbarazzati dalle ultime sortite del Sultano di Arcore, pronto a sostenere il governo degli Incapaci per ringraziare del sostegno ricevuto nello scontro tra Mediaset e Bolloré. O forse i tre deputati pensano ad una rielezione improbabile in un partito in crisi irreversibile. In ogni caso la politica italiana non si accorgerà della differenza, considerando il segno non proprio indelebile lasciato dai tre transfughi.
Ma in Lega qualcuno festeggerà ugualmente, poiché contano i numeri e non la qualità. Così come è successo quando sono stati i Fratelli d’Italia ad imbarcare personaggi non propriamente entusiasmanti. Non è neppure il caso di ricordare i troppi arresti, per le più diverse accuse, che hanno colpito l’intero centrodestra: bisognerebbe avere fiducia in una magistratura che offre solo occasioni per dubitare della correttezza.
Il basso livello qualitativo della classe dirigente è invece una realtà. E pare che vada bene così. Nel suo ultimo documento politico, “Anticorpi”, Gabriele Adinolfi si sofferma anche sulle élites politiche, partendo dalle analisi di Lenin a proposito della “concezione del partito come una formazione selezionata di gente militarizzata e professionistica”. È indispensabile, secondo Adinolfi, “un’avanguardia fanatica e fredda che risponda a disciplina assoluta e che si confronti con la gente comune e con le occasioni politiche in modo strategico e perfino chirurgico. Essendo di fatto la storia uno scontro tra minoranze, in assenza di una minoranza selezionata, compatta e organizzata, non si va da nessuna parte”.
Non era certo il solo Lenin ad avere una tale concezione del partito politico. Basti pensare a “Mussolini che, di sangue caldo e non freddo come il bolscevico, possedeva – aggiunge Adinolfi – anche un’empatia e una comuncativa non strumentale con le masse”. E sottolinea come alle destre, di qualsiasi genere e orientamento, questa legge basilare sfugga completamente. “Esse sono tendenzialmente settarie e introverse, oppure vagamente populiste e demagogiche, confidando in rivolgimenti dal basso che si vagheggiano nei bagni di folla più sterili, sulla falsariga dei socialisti del 1920 e 1921”.
Ci si illude, per comodità, vigliaccheria ed inadeguatezza, che basti l’uomo forte, anche in versione femminile, per risolvere tutto. Per trascinare masse amorfe, per inventare soluzioni meravigliose per governare un Paese, per trattare con i poteri forti mondiali, per rilanciare l’economia, per un nuovo corso culturale. Un uomo solo al comando, tra un selfie con Nutella ed una foto in spiaggia, una madonna che non appare a Fatima o a Lourdes ma a Montecitorio.
E poi squadre modeste, quando va bene. Alle prese non con doverosi corsi di formazione per parlamentari, ma con patetiche campagne acquisti. E senza neppure il coraggio di andare ad Arcore (o in Costa Azzurra) per spiegare al Sultano che nessuna alleanza è possibile sino a quando utilizza il suo tg principale per servizietti immondi al Pd.
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Ha ragione Adinolfi