“Il cuore della democrazia è il dissenso, pratica che implica la critica, il disaccordo e anche espressioni di disobbedienza”. In Italia il senso del ridicolo è merce rara tra i giornalisti. E chi ha deciso di pubblicare, sul Corriere, le considerazioni di Ravinder Kaur, ne era sicuramente privo. Non perché l’autrice abbia torto ed il suo intervento, apparso su Aeon – magazine di proprietà australiana che si occupa di idee e cultura – non sia condivisibile. Ma perché Kaur si riferisce alla situazione indiana mentre il Corriere è sempre in prima linea contro ogni dissenso in Italia.

Quanto, poi, alla realtà indiana, ha ragione Kaur nel ricordare l’induizzazione della società del subcontinente. Ma andrebbero anche ricordate, in passato, le prevaricazioni messe in atto dalle varie minoranze islamiste. In anni anche recenti, senza andare a scomodare una storia fatta di soprusi ed islamizzazione forzata.
Ora Modi ha deciso di puntare sulle radici indù per rafforzare lo spirito nazionale e per presentarsi al mondo con una immagine unica del grande Paese asiatico. Un’India che cresce sul piano economico e che, con colpevole ritardo, vuole uscire dalla condizione di nano politico. Certo, in tutto questo esiste il problema delle minoranze. Considerate come un elemento antinazionale se solo osano criticare il modello indiano voluto da Modi.

Curioso che al Corriere non si siano accorti della somiglianza con l’atteggiamento del quotidiano milanese e dei vari media di servizio nei confronti di chi, in Italia, osa mettere in dubbio il pensiero unico obbligatorio. Di chi contesta le alleanze internazionali del nostro Paese, gli errori drammatici nella gestione della pandemia, le stravaganti misure economiche che distruggono le Pmi.
Vietato dissentire, in Italia. Ma stigmatizzando chi, altrove, si comporta nel medesimo modo.