La tutela del lavoro dei ciclo-fattorini, i cosiddetti riders, delle piattaforme digitali è al centro di un dibattito. Si tratta dei fattorini che effettuano consegne a domicilio, per lo più di cibo, organizzate tramite app, spostandosi in bici o con il motorino. Assodelivery, associazione che riunisce le aziende big del settore come Deliveroo, Glovo, Just aEat e Uber Eats, sembra essere uno dei primi canali di sbocco lavorativo per gli immigrati che arrivano nelle grandi città. Abbiamo richiedenti asilo, autorizzati a lavorare già dopo 60 giorni di domanda dalla protezione. Una formula che sembrerebbe valida anche per immigrati senza documenti in regola. Gli italiani si fanno l’account, si registrano con facilità e poi vendono il “login” ai “rider stranieri”. Emerge dai controlli che su 30 rider di Milano, in media ci siano tre stranieri non trovati in regola.

Purtroppo in un “lavoro virtuale” aggirare le regole sembrerebbe davvero semplice: basta avere la app, una bici e uno zaino e la consegna è fatta. Ed ecco moltiplicarsi episodi di caporalato che si sono formati intorno alla gig economy. Tutto ruota intorno ad algoritmi, dispositivi di reputazione e di punteggio come ranking e rating, che favoriscono il lavoro sommerso. Un mercato illegale degli account e dei profili tra lavoratori e caporali, a cui richiedenti asilo e migranti, in attesa di un contratto di lavoro stabile per regolarizzarsi, ricorrono come unica possibilità lavorativa.
Il food delivery in Italia nel 2020 ha toccato i 900 milioni di euro. Raddoppiando così i risultati dell’anno precedente. Un business nato nel 2010 ma arrivato qui in Italia solo cinque anni dopo. Dal 2018 è evidente l’esplosione di questo tipo di lavoro, cresciuto considerevolmente durante la crisi pandemica che ha richiesto sempre più addetti e consegne.
Sulla base dei dati INPS, nel 2019 le società di consegne a domicilio tramite le app contavano circa 11 mila rider. Attualmente il procuratore di Milano, Francesco Greco, ha chiesto di regolarizzare 60 mila lavoratori per le quattro importanti società che lavorano in questo settore in Italia. L’obiettivo è di regolarizzare i contratti di oltre 60mila ciclofattorini, da trattare come lavoratori «coordinati e continuativi» e non più come «autonomi» senza garanzie. Sono stati presi in esame i 28mila rider di Foodinho-Glovo, i circa 8.500 di Uber Eats Italy, i circa 3600 di Just Eat Italy ed i quasi 20mila di Deliveroo Italy. Rider che erano in strada tra il primo gennaio 2017 e ottobre 2020.

Le quattro aziende coinvolte dovranno modificare il contratto che le lega attualmente ai rider, non più come una prestazione autonoma e occasionale, ma con un contratto di tipo continuativo con il divieto di retribuzione a cottimo. Le contestazioni della Procura proseguono anche per le violazioni della sicurezza e della salute sul lavoro.
I rider sono l’esercito di precari pagati in modo miserevole, senza diritti su cui si reggono alcune delle aziende più ricche del mondo. In futuro l’obiettivo sarà quello di migliorare la trasparenza del mercato del lavoro digitale, contrastando il lavoro non sicuro e ogni forma di diseguaglianza e di sfruttamento.