Il recente incontro in territorio vietnamita tra il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il suo omologo nordcoreano Kim Jong-Un ha riaperto il dibattito sull’assegnazione del Premio Nobel per la Pace.
Solamente dieci giorni prima dell’incontro svoltosi ad Hanoi era stato il presidente giapponese a ventilare l’ipotesi di una candidatura del tycoon newyorkese al prestigioso premio internazionale.
Lo scorso anno anche il presidente sudcoreano Moon Jae-In aveva rilasciato dichiarazioni a tal riguardo, sottolineando che ai coreani basterebbe il risultato ovvero la pace e la denuclearizzazione della penisola piuttosto che il premio.
Fatte queste premesse sarebbe giusto porsi l’interrogativo: Trump meriterebbe il Nobel per la Pace? Tra i motivi che farebbero pendere la decisione verso il Sì rientra sicuramente la questione nordcoreana, ancora molto distante da un vero e proprio accordo di Pace tra tutti i soggetti interessati ma certamente più distesa rispetto agli ultimi anni. Di pari passo andrebbe letta la posizione riguardante la Siria di Assad dove, ad eccezione del raid dell’aprile 2018, il leader repubblicano ha evitato di forzare la mano sconfessando i suoi predecessori.
Di sicuro una maggiore politica isolazionista, tanto decantata nel corso della campagna elettorale che lo vide trionfare su Hillary Clinton, avvicinerebbe Trump a questo obiettivo. Stando alle promesse della corsa per le elezioni presidenziali si dà il via alla lista dei motivi che farebbero pendere la bilancia verso il No. Il rapporto con la Russia di Vladimir Putin è tutt’altro che normalizzato e disteso, l’arrivo della Nato ai confini del gigante euro-asiatico la dice lunga. La guerra, finora solo commerciale, alla Cina permette già di individuare il futuro nemico degli interessi statunitensi.
Le colpe principali dell’attuale amministrazione della Casa Bianca risiedono, però, su altri due fronti: Medio Oriente e America Latina. Quanto al primo lo spostamento dell’ambasciata a stelle e strisce da Tel Aviv a Gerusalemme ha gettato benzina sul fuoco dell’eterno conflitto israelo-palestinese mentre il ritiro unilaterale dall’accordo sul nucleare con l’Iran ha riaperto del tutto un fronte che seppur mai sopito aveva fatto dei passi in avanti significativi. Per quanto riguarda l’America Latina il rilancio in grande stile della Dottrina Monroe con l’attacco a Stati sovrani, come nel caso del Venezuela bolivariano e del Nicaragua sandinista, rigettano del tutto la politica isolazionista promessa agli elettori nel 2016.