Settantamila, o forse 100mila, giovani che, in un incredibile corteo per le strade di Bologna avrebbero potuto cambiare il destino dell’Italia intera. Era il 25 settembre del 1977 quando, come cantava Stefano Rosso, “Bologna tremò”. In realtà a tremare fu il sistema di potere che, nel capoluogo emiliano, mandò a marzo i famosi “carrarmati di Kossiga”, che poi carrarmati non erano.
Tremò la Dc, per questi comunisti assatanati ed assetati di sangue (i democristiani tendevano ad esagerare); tremò il Pci che non era in grado di controllare questo spontaneismo armato che armato non era; tremò il sindacato, che aveva già dovuto subire la “cacciata di Lama” nel febbraio dello stesso anno; tremarono le vere bande armate, a partire dalle Brigate Rosse, che vedevano pesantemente messo in dubbio il proprio ruolo di avanguardie della rivoluzione.
E tutto per un esercito colorato di Indiani metropolitani che assomigliavano più ai fratelli maggiori figli dei fiori, agli hippy, che non ai katanga ed alle bande di assassini a sangue freddo. In realtà, come ricorda il blog di Ugo Tassinari riportando il ricordo di un protagonista, le prospettive del raduno di Bologna erano ben altre. Un “convegno internazionale contro la repressione”, titolo esagerato ed inutile. Ma la repressione, in Italia, esisteva eccome. Giovani disarmati assassinati da elementi dello Stato, in borghese o in divisa. A sinistra, a destra, persino una giovane radicale.
Il problema fu che, a Bologna, le varie anime del Movimento non si saldarono perché non si potevano saldare. Operaisti, aspiranti brigatisti, entristi, gente che credeva nella possibilità di incidere presentando minipartiti alle varie elezioni, fricchettoni, indiani, creativi. Un guazzabuglio che poteva spaventare solo ottusi funzionari abituati a non capire nulla ed a compilare informative una più stupida dell’altra.
Cosa avrebbero potuto fare 100mila, o 70mila, giovani inferociti? Ovviamente mettere a ferro e fuoco Bologna ed innescare una spirale di ribellione violenta che sarebbe dilagata in ogni città. La Comune di Parigi in salsa italiana ma estesa a tutta la Penisola. Magari soffiando sulle braci delle rivolte del decennio precedente.
In Italia? Neanche a parlarne! Il corteo che invase Bologna fu colorato, ricco di balli e di risate. Altro che rivoluzione. Qui la rivoluzione si fa al bar, dove tutti diventano reduci di qualcosa, meglio se di qualcosa che non hanno fatto. Di fronte alle autoblindo di Kossiga sfilarono ragazzi con le guance colorate, tutti convinti che la fantasia potesse andare al potere ma pronti a rientrare nei ranghi della società che volevano rivoluzionare in cambio di un po’ di tolleranza in più sulle canne, di qualche diritto civile, di un posto di lavoro sicuro a scuola o in un ente pubblico.
La rivoluzione era finita, era stato un sogno, un gioco, nulla di più. Ite, missa est. E gli indiani si trasformarono nei follower delle giacche blu..