Più di un terzo della popolazione mondiale acquista abbigliamento online: nel 2019 il numero di eShopper nel mondo che acquista prodotti nel fashion raggiunge oltre 2 miliardi e 451 milioni, in crescita dell’11% rispetto allo scorso anno.
Entro il 2023 saranno 3 miliardi e 363 milioni i consumatori che sceglieranno di acquistare capi di abbigliamento online, +37% rispetto al 2019. Il fatturato online del fashion a livello globale cresce costantemente: nel 2019 vale 346 miliardi e 256 milioni di €, in crescita del 13% rispetto allo scorso anno. Entro il 2023 questo settore varrà saranno 509 miliardi e 376 milioni, +47% rispetto al 2019.
In Italia la quota di acquisto online di abbigliamento passerà dal 6% nel 2018 al 9% nel 2023, mentre in Cina dal 52% nel 2018 al 65% nel 2023.
Il mercato cinese del fashion online vale più del doppio di quello europeo e statunitense: in Cina si registrerà una crescita annua del 12% nei prossimi 4 anni, passando da 247 miliardi di dollari nel 2018 a 431 miliardi nel 2023, mentre in Europa del 7,5% passando da 102 miliardi di dollari nel 2018 a 147 miliardi nel 2023; negli Stati Uniti dell’8%, passando da 103 miliardi di dollari nel 2018 a 146 miliardi nel 2023. Nel 2019 il 33% dei consumatori nel mondo acquista abbigliamento attraverso canali digitali, il 27% acquista calzature e il 19% accessori.
Percentuali che sono destinate a crescere entro il 2023, quando quasi la metà degli acquisti di abbigliamento (44%) avverrà attraverso canali digitali[4].
“La crescita digitale è la forza motrice del made in Italy” assicura Marc Sondermann, Direttore e CEO di eBusiness e Fashion magazine. “Decollare in Borsa con il digitale, questa è la sfida – ha sottolineato, citando anche un’intervista fatta su eBusiness a Luca Solca, influente analista di Bernstein – ed un esempio è quello dell’escalation di Gucci nell’era Bizzarri-Michele. Un brand che con impressionante rapidità ha cambiato pelle, investendo in CRM, social, e-commerce e nuovi consumatori. Prada è stato più lento a cogliere il cambiamento e ne ha sofferto ma ora recupera terreno, affidando come altri la gestione del digital alla nuova generazione interna“.
In un contesto in cui i big player si ripensano e, in parallelo, piccole realtà digitalmente avanzate vedono decollare i ricavi, si inserisce la sfida dei marketplace: un pericolo, vista l’aggressività di questi canali sui prezzi, o un’opportunità?
“Entrambe le cose – ha concluso Sondermann – ma l’importante è che un brand sappia controllare e gestire al meglio i canali distributivi”.