Era la “petite Ville Lumière”, anche se nessuno se lo ricorda più. Qualcuno, a scuola, imparava la Marsigliese prima del Fratelli d’Italia. E la prima lingua straniera era, senza ombra di dubbio, il francese. Tra rivalità e polemiche – come è inevitabile tra parenti stretti – Torino ha sempre rappresentato il ponte tra Italia e Francia, sentendosi quasi sempre più vicina a Parigi che a Roma. Culturalmente, architettonicamente, culinariamente.
Poi i camerieri di Washington e Londra si sono imposti. Hanno normalizzato la capitale subalpina che, in questo modo, ha perso il consolato francese dopo aver perso quello americano. Bisogna essere dei geni. La subcultura ha prevalso, le radici sono state recise. Si è insistito molto sulla Torino Lione, senza far nulla peraltro, ma solo come trasporto merci, non come collegamento tra idee. Perché, per collegarle, bisognerebbe averle le idee.
Ed ora, a fronte del “patto del Quirinale” tra Macron e Draghi, Torino è rimasta silente. Non è venuto in mente, ai vertici delle istituzioni locali, che la città e la regione dovrebbero tornare a rappresentare il trait d’union tra Italia e Francia. Macché. Non avendo idee, non avendo più una cultura propria, non si capisce cosa si potrebbe andare a proporre a Roma ed a Parigi. Certo, un transito facilitato delle merci, perché null’altro interessa se non i container.
D’altronde anche i fondi previsti dall’Unione europea per i progetti comuni tra aree confinanti sono stati utilizzati per favorire gli amici degli amici, non per creare una comunità transfrontaliera. Una scelta comprensibile, al di là delle solite camarille e dei nepotismi. Perché una comunità transfrontaliera avrebbe significato recuperare vecchie identità comuni, riscoprire la Storia che tanto infastidisce i servitori del pensiero unico obbligatorio ed anche il ministro Cingolani. Perché il mondo a cavallo delle Alpi ha valori diversi da quelli imposti dagli atlantisti.
Dunque meglio lasciar perdere. Meglio rinunciare ad una opportunità che garantirebbe il rilancio di una città in crisi, meglio non recuperare vecchie radici, meglio non sognare un futuro legato alla cultura. Da petite Ville Lumière a piccola Dacca: le classi digerenti (sì, digerenti) hanno scelto.