Leggo, proprio su Electo, un articolo di Adele Piazza… Mcdonald’s si ritira dal mercato russo. Chiude i suoi punti vendita. E così fa Starbuck’s, Coca Cola, presto anche Burger King e gli altri… Netflix ha già interrotto le trasmissioni. E…. potrei continuare. Ma non è questo che mi interessa. E neppure l’impatto economico (e sull’occupazione) che questo sta avendo e, soprattutto, avrà nel futuro. Non è questione da ragioniere, chi perde e chi guadagna. O meglio, chi perde di più e chi di meno. Ciò che sta accadendo ha ben altra valenza. Simbolica…
O meraviglioso Mondo Nuovo!
Così, all’inizio degli anni ’90, intonava all’ unisono il coro degli intellettuali, dei giornalisti, dei Media…
O meraviglioso Mondo Nuovo!
Rispondeva una folla sempre più abbacinata da un novello orizzonte in cui non vi sarebbero state più guerre, malattie, miseria. E tutti saremmo vissuti felici e contenti. In eterno. Come se fossimo in un cartone animato dai colori sgargianti. Naturalmente prodotto dalla Disney Pixar..
O meraviglioso Mondo Nuovo!
Teorizzava Francis Fukuyama, rileggendo molto a suo modo Hegel. E parlando di Fine della Storia. E di Ultimo Uomo.
Meraviglioso. Crollato il Muro, annientato l’Impero del Male, come Reagan aveva chiamato l’URSS. Le nostre Guerre Stellari erano finite prima di avere inizio. Il Bene aveva vinto. Un unico modello sociale. Un unico modello economico. Un unico modello politico. Un mondo ormai sempre più interconnesso, dove le distanze erano state di fatto annullate. Senza muri. Senza confini. Senza limes.
Il dottor Panglosse di Voltaire, nelle sue innumerevoli incarnazioni, era in estasi. Vivevamo davvero nel migliore dei mondi possibili…
Meraviglioso…però, però… Quale era la cultura da cui si generava questo Mondo Nuovo? O, per essere più esatti, la Kultur, facendo riferimento al Thomas Mann de “Le considerazioni di un impolitico”. Che mai come oggi sembrano di, spaventosa, attualità.
Di che sostanza, estetica, etica e, se vogliamo, materica, era la matrice da cui questo stava sorgendo?
Perché ogni Civiltà, o fase di civiltà, ha una sua matrice. Una Kultur, appunto, magari rozza e magmatica, da cui prende inizio e slancio. Una radice che la nutre di linfa vitale.
Per questo ancora Tacito, nel culmine dell’età imperiale, richiamava continuamente le antiche virtù degli avi latini e sabini. Feroci pastori nomadi e duri contadini, che avevano dato vita a quel borgo fortificato sul Tevere che sarà, poi, Roma.
E per questo ancora Tacito, ne “La Germania”, guardava con preoccupata ammirazione ai barbari che si addensavano, promessa di future tempeste, oltre il Reno. Vedeva in loro una cultura primitiva, crudele, ma vitale e vigorosa. E la paragonava, infra le righe, con la mollezza e il progressivo degrado dei costumi romani.
La storia, o meglio le storie dei popoli, avevano visto già prima lunghi periodi di cosmopolitismo. Civiltà capaci di unificare grandi, sovente immensi spazi. E di assorbire popoli, culture, lingue e storie diverse. Fondendole.
L’impero di Alessandro che aprì la grande stagione dell’età ellenistica. Quello di Roma destinato a durare secoli, e a lasciare impronta indelebile nella nostra memoria culturale. Il Califfato islamico, portato dalle spade di nomadi cavalieri usciti dai deserti d’Arabia. E che divenne civiltà raffinatissima, poeti e matematici, architetti e filosofi, a Damasco, a Baghdad, a Granada. In Sicilia…
Durarono secoli queste civiltà cosmopolite. Poi tramontarono, e il mondo tornò a frammentarsi. Inevitabile. Necessario direbbe Spengler.
Nessuna di queste, però, ebbe mai la pretesa di unificare tutto il Globo. Nessuna vi riuscì, comunque. Ma all’inizio degli anni ’90 dello scorso secolo sembrava cosa fatta. E, appunto, si parlò, con molta enfasi ed entusiasmo, di Globalizzazione. La storia era finita…
O meraviglioso Mondo Nuovo,!
Già…ma cos’ era ad unificare il mondo? Intendo, quale Kultur era a fondamento di questo, al di là della potenza, militare ed economica, degli Stati Uniti? Ovvero dell’unica potenza restata in piedi…
“It’s the Economy, stupid!” sentenziava il, sorridente, Bill Clinton suonando il sax…
Era l’economia, solo l’economia la base culturale della Globalizzazione. In fondo tutti stavano dando ragione al vecchio Marx…ma non credo che lui ne sarebbe stato contento…
I capitali, senza più limiti, si muovevano con velocità mercuriale. Completamente sradicato dalla terra. Ovunque, si addensavano gli stessi usi, costumi, modo di parlare, di vestire. Uno slang derivato dall’inglese, ma che Shakespeare avrebbe stentato a riconoscere, diventava la lingua di comunicazione universale.
McDonald’s e altre catene erano la plastica dimostrazione di questo uniformarsi, o meglio omologarsi del gusto. E del modello di vita.
Vi erano però molte crepe in questo edificio apparentemente perfetto. E si cominciarono a vedere, e dilatare presto. Molto presto. Gli esclusi, gli emarginati erano troppi. E cominciarono ad alzare la testa. Questi ultimi trent’anni hanno visto un numero incredibile di conflitti. E tragedie. La globalizzazione si è incrinata ben prima di qualsiasi altra epoca di universalismo o cosmopolitismo. Potremmo dire un immenso Impero, ma che è durato appena tre decenni. Facendo, da subito, acqua da tutte le parti.
Ma ora è finita. Le grandi reti informatiche, mediatiche, le multinazionali che hanno costituito la Kultur di fondo di questa epoca, con cibo spazzatura e programmi anche peggiori, si ritirano da una parte del mondo. L’unità è spezzata. Il vecchio Orso è uscito dalle profondità del tempo.
Il meraviglioso Mondo Nuovo non esiste più…