Pil della Nigeria a 574 miliardi di dollari. Per il Fondo Monetario Internazionale Abuja si conferma al primo posto tra le economie africane subsahariane. Precedendo il Sudafrica (422 miliardi), ma non più il Kenya che, con 117,6 miliardi, cede il terzo posto all’Angola (135 miliardi). Ma Nairobi viene superata anche da Addis Abeba poiché l’Etiopia – nonostante la guerra che l’ha impegnata nel Tigrai – chiuderà il nuovo anno con un Pil da 126,2 miliardi di dollari.
Non si tratta solo delle solite statistiche con le previsioni di inizio anno per accontentare i curiosi. Perché, in questo caso, l’andamento del Pil determina circoli virtuosi o viziosi a seconda della posizione in classifica. Un incremento, accompagnato da un rafforzamento del ceto medio locale, attira nuovi investimenti poiché il Paese non è più considerato solo un territorio da depredare ma anche un mercato dove vendere. Al contrario una frenata del Pil spinge a dirottare altrove progetti ed investimenti. Certo, ci sono anche i casi di Paesi dove è la povertà e la disperazione della popolazione a far affluire i capitali di chi punta allo sfruttamento della manodopera oltre che del sottosuolo con varie ricchezze minerarie.
Non a caso, secondo il Fmi, la crescita dell’Angola proseguirà nel 2023 con un aumento di quasi 9 punti percentuali, ed andrà ancor meglio all’Etiopia (+13,5%). Pesa, in senso positivo, l’aumento dei prezzi del petrolio. E Nigeria ed Angola sono, rispettivamente, il primo ed il secondo Paese produttore africano. Ma Luanda può contare anche sui diamanti. Ed in questi giorni ha accolto il ministro degli Esteri russo, Lavrov, per valutare i progetti congiunti da mettere in atto. A partire dal settore nucleare. Perché anche i produttori di gas e petrolio stanno diversificando la produzione di energia, compresa quella destinata al consumo interno.