“Il Natale dei conservatori”. Atreju, la festa di Fratelli d’Italia, quest’anno ha il pregio dell’onestà, della chiarezza. Da ieri sino al 12 dicembre, ovviamente a Roma, dovrebbe concludersi con la presentazione di una sorta di manifesto programmatico per chiarire chi sono i conservatori e cosa vogliono per il futuro. Con la speranza che questa volta il documento finale abbia maggior senso, e vita più lunga, rispetto alle sciocchezzuole di un passato in cui veniva illustrato un confusionario Pantheon della cultura di destra. Un guazzabuglio senza capo né coda, utile solo per far sapere che si erano orecchiati alcuni nomi a caso.
Ovviamente il programma non è indicativo della direzione che i nuovi conservatori vorranno prendere. Perché, si spera, non è che invitando Giletti si intenda seguire la strada della tv spazzatura. Ed è altrettanto evidente che un dibattito sulla “manovra economica più importante del dopoguerra” debba prevedere gli interventi dei presidenti delle associazioni imprenditoriali senza, per questo, significare appiattimento sulle loro posizioni. Però l’assenza, in questo confronto, di un rappresentante sindacale (magari dell’Ugl) qualche dubbio lo solleva.
Si vedrà, comunque, al termine della settimana. Si capirà quanto il modello del futuro assomigli a quello del passato. Non al Ventennio, ovviamente, ma alla destra storica di Cavour. D’altronde il Conte piemontese era un grande sostenitore delle infrastrutture, realizzate con estrema rapidità, con costi ridotti e con grandi ricadute successive. Era un politico con una profonda conoscenza dell’economia locale e della situazione internazionale; sostenitore del rapporto privilegiato con la Francia ma amico anche dell’Inghilterra; spregiudicato in politica interna; abile ad utilizzare spie e servizi segreti; rispettoso della monarchia ma capace di liti furibonde con Vittorio Emanuele II (che parlava male l’italiano e lo scriveva peggio ma, non per questo, è assimilabile ai politici odierni).
Cavour può essere considerato un conservatore, anche se nei fatti riuscì a cambiare radicalmente il Piemonte ed il Regno di Sardegna. Era liberale quando i liberali rappresentavano la sfida ai reazionari ed agli stessi conservatori dell’epoca. Era un ministro delle tasse e colpì laici e religiosi in egual misura, scontrandosi con il Papa non solo per questioni finanziarie. Tasse che, tuttavia, vennero impiegate per la modernizzazione del Regno Sardo, non per ingrassare renitenti alla vanga e speculatori (a partire dai Rotschild).
A distanza di soli 10 anni dalla disfatta della prima guerra di Indipendenza, il Regno Sardo potè schierare contro l’Austria un esercito efficiente, bene armato, con trasporti rapidi delle truppe. E con, alle spalle, uno Stato che funzionava ed una economia in espansione.
È questo il modello dei nuovi conservatori? Cavour, però, imponeva le sue scelte politiche agli imprenditori, non ne era il maggiordomo. Tassava proprietari agricoli e professionisti, senza curarsi delle proteste. Era credibile a livello internazionale, aveva intorno a sé ministri e politici competenti. La classe dirigente, nel suo complesso, era di ben altro livello rispetto alla situazione attuale. Massimo d’Azeglio fu grande pittore prima ancora che politico e militare, Quintino Sella fu banchiere ed alpinista prima che economista e ministro. Questi erano i conservatori.
Non i propinatori di slogan altrui, non i maggiordomi dei poteri forti, non gli esecutori degli ordini di Washington. Non basta scegliere una vecchia etichetta per riproporre i fasti del passato.