Il nuovo libro di Guido Santulli “Al di là del Maestrale” (Passaggio al Bosco Edizioni, pp. 225, 15,00€) ruota tutto intorno a una domanda e una risposta: “Who are you?”; “I’m Italian”.
Le due frasi vengono pronunciate nel corso di un sogno, vale a dire in quell’ambito che si muove tra il reale e l’irreale, in una dimensione ambigua.
E sono proprio l’ambiguità e l’incertezza le chiavi di lettura di questo lavoro letterario dell’autore romano giunto con questo al suo quinto libro.
Già quelle due frasi ci offrono la cifra del suo muoversi su una sottile linea di confine fra mondi diversi. Un testo in italiano, scritto da un italiano, che usa l’inglese per rimarcare la propria appartenenza alla Patria Italiana. “Al di là del maestrale” è infatti un racconto spionistico che vede protagonista uno scultore genovese che per sbarcare il lunario lavora in un liceo privato. Afflitto da una vita monotona e priva di prospettive, si trova coinvolto in “un intrigo internazionale” dal quale non sembrano esserci vie d’uscita.
Niente di nuovo, direte voi. E invece no. Perché, in nome e per conto di quell’ambiguità cui si accennava prima, la vicenda è anche altro. Oscar, il protagonista, si muove alla ricerca di se stesso, affiancato da un’affascinante figura femminile e da un anziano professore che da sempre svolge ricerche in ambito Tradizionale. Ad essi si contrappongono i poteri forti in ambito politico e tecnologico, così lontani dal trantran quotidiano del protagonista, con i quali tuttavia Oscar è costretto a fare i conti. Una bizzarra situazione che rappresenterà una crescita e una rottura allo stesso tempo, con risultati imprevedibili.

Ma l’ambiguità di cui parlavamo non si esprime soltanto nella dimensione dei contenuti.
La sensazione di trovarsi di fronte a una vicenda border line si può percepire sin dalle prime righe dello snello volume nell’uso che l’autore fa del linguaggio.
Dimenticate il periodare asettico tipico dei romanzi di consumo. Santulli si muove invece in equilibrio, qualche volta precario, tra il triviale e l’aulico, tra lo sperimentale e l’asettico, tra l’oggettivo e il soggettivo. A tratti sembra di trovarsi in compagnia dell’Arbasino di Viaggio in Italia o del Berto De Il Male Oscuro. Su tutto aleggia l’anima inquieta di Louis Férdinand Céline che, se pur non ostentato, si ritrova nella punteggiatura scombinata, nell’uso casuale della consecuzio temporum, nella ridondanza degli aggettivi e degli avverbi. Tutti strumenti che ci portano lontano dalla letteratura di genere che pur serve da canovaccio alla storia di Santulli, per introdurci nel campo della sperimentazione linguistica, sulla scia dei “paroliberi” futuristi. Non un’imitazione, dunque, ma un proseguire su una strada che non ha smesso di correre come un filo rosso all’interno delle nostre patrie lettere.
Un plauso, infine, all’editore che, pur agendo in ambito identitario, ha deciso di scommettere anche su testi narrativi.