Festival del giornalismo alimentare. La settima edizione sembra quasi un festival “contro” i giornalisti che si occupano del cibo nei suoi diversi aspetti. Succede quando si invitano degli esperti che, invece di far finta di niente per i continui errori dell’informazione, approfittano del microfono per far notare pressappochismo, superficialità, errori marchiani. Giusto così: per una volta gli interventi sono veri, non addomesticati.
A volte a sbagliare sono gli esperti, solo il servilismo dei media li ha trasformati in esseri infallibili. D’altronde spesso non sono d’accordo tra loro, dunque qualcuno sbaglia. Sono poco credibili alcuni studi sulla frequenza con cui alcune regioni compaiono sui media in rapporto al cibo. O sulla propensione degli italiani a scegliere alcune mete per ipotetiche vacanze legate all’enogastronomia.
Ma al festival arrivano anche inviti a rispettare quelle che dovrebbero essere regole base per la professione giornalistica: verificare le notizie (prima di scriverle, possibilmente..), evitare titoli ad effetto ma lontani dalla realtà, non sbrodolare inutilmente (soprattutto su ciò che non si conosce più che bene), scrivere per il lettore e non per il Seo.
In un altro panel si rincara la dose. Sottolineando come i comportamenti alimentari degli italiani siano condizionati dal panico provocato da un’informazione ossessiva ed esagerata. È vero che il terrorismo mediatico è un semplice trasferimento ai sudditi del terrorismo di Stato – che si tratti del Covid o della guerra con inesistente carestia mondiale – ma è altrettanto vero che un giornalismo decoroso dovrebbe avere la dignità di rifiutare di trasformarsi nella cinghia di trasmissione del regime.
Invece i media creano il panico, i consumatori si rassegnano agli aumenti folli dei prezzi e gli speculatori alzano i prezzi anche quando non ci sarebbero i motivi.
Ed è curioso che siano ricercatori universitari, docenti, analisti a spiegare ai giornalisti come NON dovrebbero comportarsi. D’altronde la categoria preferisce dedicare il proprio tempo ad ipotizzare l’obbligo di utilizzare negli articoli * e schwa per includere ogni genere sessuale. Mica si può essere così antichi da dedicarsi a valutare le fonti, a confrontarle, a verificarle.