Torino attraversa un declino senza fine. Il governo di Chiara Appendino si è dimostrato mediocre, privo di visione, incapace di infondere entusiasmo e di dare un chiaro disegno della città. È ormai evidente a tutti che il capoluogo piemontese ha perso la sua capacità attrattiva.
La soluzione potrebbe essere un nuovo Piano per la città, dopo un’amministrazione caratterizzata da una mancanza assoluta di Grandi Eventi a dispetto di quella che però è sempre stata la caratteristica principale della città: il tessuto diffuso ed esplosivo di cultura di avanguardia che si sviluppava nei quartieri (eventi che hanno fatto grande Torino negli ultimi trent’anni e che adesso non ci sono più). Spesso vi è una marcata differenza di atteggiamento nel trattare i problemi del Centro e quelli delle periferie, lasciate a loro stesse in quella che è diventata sempre più una vera e propria “storia di due diverse città”.

Oggi il panorama politico si è arricchito di altre esperienze interessanti. Ne parla Alberto Nigra che nel 2020 ha aderito ad Azione di Carlo Calenda, assumendo l’incarico di responsabile enti locali in Piemonte.
Come il Covid19 ha messo in evidenza il declino di Torino?
In realtà a differenza di altre città italiane la crisi di Torino e della sua area urbana parte da assai più lontano della recente pandemia, la quale ha solo accentuato un processo in atto a partire dal post Olimpiadi Invernali del 2006. Torino ha un calo demografico più accelerato di altre città, in alcuni casi addirittura in controtendenza e l’età media della popolazione si è alzata a circa 47 anni. Essere sempre meno e sempre più vecchi vuol dire declino strutturale.
Fondamentalmente pesa un processo di trasformazione della città, da tempo non più one company town (non dimentichiamo che FIAT era l’acronimo di Fabbrica Italiana Automobili Torino), la fusione in FCA prima ed ora in Stellantis ha fatto perdere questa connotazione, ma senza che la politica locale e nazionale ne individuasse un’altra, pur essendo il tessuto industriale ancora molto forte; sono insufficienti le misure adottate per far sviluppare le filiere esistenti (automotive e aerospaziale) e farne nascere di nuove (meccatronica e servizi).
Il sistema della formazione universitaria è di buon livello, ma non eccellente. L’assenza di una guida politica, anche prima dell’ amministrazione Appendino, è stata da essa accentuata, incapace di raccogliere le forze e di coordinarle in un disegno unitario, ha reso assente la capacità di disegnare un piano strategico. In fondo la città rimane nel suo intimo legata alla ‘corte’, se questa non svolge la propria funzione i processi si bloccano, si frammentano e si indeboliscono.
Alberto Nigra, quali sono state le motivazioni che ti hanno spinto verso il partito di Calenda ‘Azione’?
Dopo aver passato una parte importante della mia vita a fare politica, anche in modo professionistico, sono emigrato per lavoro a Roma, ho abbandonato anche con amarezza la politica e iniziato una nuova professione, lavorando per una società di consulenza finanziaria e direzionale per le PMI.
Quando finalmente ,dopo otto anni, sono rientrato a Torino – dove per inciso volevo tornare fortissimamente perché questa è la mia città e la mia dimensione ideale di vita – mi sono fatto via via ritentare dalla politica, proprio perché ho visto e percepito il declino della città in corso e ho pensato che in fondo avessi un debito di riconoscenza verso il luogo che mi ha visto nascere, formare, concepire una figlia e a cui mi legano emozioni e sentimenti.

La mia visione della politica nel frattempo era evoluta da una posizione di sinistra tradizionale post comunista verso un approdo liberal socialista.
Anche la mia attività lavorativa ha avuto un ruolo nel farmi maturare questo cambiamento, che si collega all’importanza di ottenere dei risultati in tempi brevi: per un’impresa può significare vita e sviluppo oppure perdite e arretramento, spesso esiziale.
La nascita di Azione e la personalità di Carlo Calenda mi hanno fatto finalmente individuare un approdo, che mi consentisse di unire ideali, cultura politica e, direi, un certo culto per il raggiungimento del risultato, che deriva dalla sua formazione ‘aziendalista’, da alcuni vista come un limite e invece per me, oggi, ritenuta indispensabile. La politica, come spesso lui ripete, non è il fare cose impopolari, ma rendere popolari le scelte necessarie.
Il sistema Paese e la nostra città non hanno più tempo da perdere, attardarsi potrebbe significare non avere un futuro diverso dalla decrescita, sempre infelice.
Quali strategie bisognerebbe mettere in atto per riprendere in mano le redini di una città come Torino?
Le strategie, detto quasi come un scioglilingua, non possono che essere quelle del fare ciò che andava fatto e non si è fatto oppure di farlo più in fretta di quanto lo si stia facendo. A Torino non si dialoga più, mentre il confronto è il master universitario della scuola di politica, la politica non assolve il suo primato, sono state smantellate tutte le sedi di confronto tra gli attori economico sociali e la politica. Mai come oggi si sente così forte l’esigenza di mettere a confronto le classi dirigenti di cui dispone Torino per farle crescere insieme e disegnare un nuovo Piano Strategico di Sviluppo.

Unirle per avere forza di contrattazione con il Governo centrale, ottenere risorse finanziarie, a partire dall’utilizzo di quelle che potranno provenire dall’UE attraverso il Next Generation UE. Dobbiamo tornare ad avere un piano strategico della città e area urbana, fatto di strumenti regolatori, fiscalità omogenea e incentivante, coordinamento con Università e Politecnico, ma con un’attenzione estesa alla scuola superiore, che deve formare anche in funzione del mercato del lavoro.
Le Fondazioni bancarie sono molto importanti, non deve essere ridimensionata la loro autonomia, ma le loro risorse – che sono della collettività – devono essere concertate con le istituzioni per rafforzare le politiche stabilite insieme. Infine i collegamenti devono essere rafforzati, sia quelli interni (seconda linea di metro), sia la TAV verso Lione, sia il collegamento verso Genova.
Se si completeranno velocemente questi assi di collegamento, Torino si troverebbe al centro di un più grande ‘triangolo’ ai cui vertici vi sarebbero Milano, che guarda al nord est, Lione, che ci collega con le grandi direttrici europee e il porto di Genova, con lo sbocco a mare. Credo sia facile intuire quali prospettive ne potrebbero derivare per lo sviluppo di Torino.
Alberto Nigra, quali sinergie si potranno mettere in campo per far uscire Torino da un ‘sottosistema’ ormai radicato?
Inutile nascondersi dietro un dito, senza risorse non si fa nulla, a Torino il PIL pro capite è di 27000 euro contro i 49000 euro di Milano, i trasferimenti dallo Stato (la restituzione fiscale) si sono ridotti di alcuni miliardi tra il 2008 e il 2020, il debito pro capite, figlio in parte ereditato dalle Olimpiadi del 2006 ammonta a 4000 euro, le spese sociali si sono ridotte tra il 2005 e il 2018 del 30% contro una media italiana dei comuni metropolitani del -13%, la spesa culturale -53% contro il 17 delle altre città, i trasporti del -49% contro il -8%.
Quindi occorre accedere con progetti precisi alle risorse del Next Generation UE, ai Fondi Europei, ancora troppo sottoutilizzati, accelerare il Partenariato Pubblico Privato, che vuol dire far affluire risorse private su progetti di utilità pubblica, che senza perdere la natura collettiva godrebbero dell’efficienza della gestione privata, ma occorrono anche assunzione di giovani qualificati nella Pubblica Amministrazione Civica. Non si tratta di fare assunzioni assistenziali, ma di svecchiare la macchina e dotarla di nuove professionalità. Ma ribadisco senza la politica che svolga il ruolo di governance che gli spetta nulla di tutto questo decollerà.
Quali sono stati gli errori eclatanti delle giunte precedenti e l’incapacità di Appendino di rilanciare la nostra città?
Appendino diventa sindaco di Torino con dietro grandi aspettative e curiosità di tanti torinesi, che volevano vedere il ‘nuovo’ aprire la scatoletta, ma seguendo l’infelice metafora questi sono arrivati senza apriscatola, privi di esperienza, competenza, conoscenza della macchina pubblica e soprattutto sospettosi e richiusi su se stessi.
La situazione ereditata non era delle migliori, del debito abbiamo detto, dell’appannamento post olimpico pure, ma l’amministrazione Appendino si è distinta per aver fatto da freno sulla TAV, escluso Torino dalla candidatura alle Olimpiadi Invernali del 2026 con Milano e Cortina, che aveva un esito scontato di assegnazione. Pasticciona sulla ZTL, ancora oggi non sappiamo cosa vogliano fare o non fare.
Non basta certo il successo ottenuto nell’assegnazione delle ATP final dal 2021 al 2025. Tra l’altro sfortuna vuole che il primo anno coincida ancora con una anno di pandemia, ma almeno di questo non si può dare la colpa alla sindaca, mentre gravi sono le responsabilità negli sgomberi dei clochard avvenuti nelle settimane scorse. Lasciamo perdere la giusta retorica sulla Torino sociale, ma qui prima non si è gestito il problema lasciando che i portici del centro desertificato dal lockdown fosse colmato di giacigli e poi improvvisamente si fatta un’azione insensatamente dura, rimuovendo persone e oggetti con la stessa disinvoltura, senza avere uno straccio di soluzione pensata per dare accoglienza, mentre le temperature toccavano i minimi della stagione invernale. Una vergogna per tutti noi torinesi, non solo per l’amministrazione.

Alberto Nigra, quali sono stati secondo te gli errori del precedente governo sulla gestione della pandemia e i relativi danni economici?
La pandemia Covid19 ha colto di sorpresa tutto il mondo, inclusi i paesi più sviluppati, con l’eccezione della Corea del Sud, Israele, Nuova Zelanda e Taiwan pochi sono riusciti a mettere in atto la strategia delle famose tre ‘t’ (trattamento, tracciamento e test). La Cina ha adottato una strategia basata sul lockdown totale nelle zone colpite, ma questo lo ha potuto fare perché è un paese autoritario, enorme e con risorse importanti da destinare al sostentamento delle aree letteralmente chiuse, la UE e gli USA, inclusi gli errori di Trump, non potevano adottare lo stesso rimedio.
Quello di cui il governo Conte bis va politicamente imputato sul piano sanitario è che ad un anno dall’inizio della pandemia lo stato di impreparazione degli apparati è rimasto sostanzialmente immutato, solo sui test siamo riusciti a raggiungere livelli decenti di rilevamento. Il saggio di Luca Ricolfi, La notte delle ninfee, racconta molto bene, con abbondanza di dati tutto questo.
Ma le responsabilità maggiori, le inefficienze più diffuse vi sono state sul terreno degli aiuti e sostegni economici, l’ultimo atto insensato è stato proprio pochi giorni fa la proroga della chiusura degli impianti sciistici a 8 ore dalla loro autorizzata apertura.
Precisiamo, il vaccino va a rilento, per i noti problemi di approvvigionamento. Ma tutti pensiamo che avremmo avuto problemi anche se ce ne fosse stata abbondanza. I lockdown potranno anche essere necessari, non spetta a noi dirlo, ma non si possono adottare simili misure senza un coordinato piano di ‘ristori’, che non possono essere infimi nell’entità e in ritardo nella erogazione. Problema che ha interessato anche la CIG, spesso anticipata dalle imprese, nel frattempo costrette a chiudere o limitare le proprie attività.
Insomma io credo che gli italiani, il personale sanitario in particolare, abbiamo vissuto questo grave momento con rigore e rispetto delle regole, persino eroismo. Adesso vogliono programmazione e non più improvvisazione. Questo sarà sopra tutti il metro sul quale si valuterà il Governo di Mario Draghi, come lo sarà l’utilizzo dei 209 miliardi di aiuti e prestiti provenienti dall’Europa. Inutile dire che la sua guida ci fa sperare in qualcosa di meglio.