La società è sempre più anziana ma in Italia manca ancora una cultura della terza età.
Quando l’età e gli acciacchi si fanno sentire, quando la memoria fa cilecca e le gambe iniziano a diventare malferme, si entra in quella condizione di “anziano fragile” che può permettere di condurre una vita soddisfacente e di mantenere la propria autosufficienza se si trova appoggio nelle strutture del territorio che riescano a portare il loro contributo alla discussione su un tema che con l’invecchiamento progressivo della popolazione assumerà una valenza sempre più consistente.
Gli “anziani fragili” sono persone che, superati i 75 anni senza particolari patologie, si trovano appunto in una condizione di “fragilità” perché un qualsiasi evento traumatico (una brutta caduta) oppure patologico (un ictus) o ancora socio-economico, possono facilmente farli precipitare in una situazione di non autosufficienza con tutto quel che consegue sul piano personale e familiare.
«Il mondo della terza età è per definizione eterogeneo – spiega Alberto Ferrari, presidente Sigot ( Società Italiana di Geriatria Società e Territorio ) – e la sola età anagrafica non ci permette di fare particolari valutazioni. La geriatria sta compiendo un percorso più articolato il cui obiettivo è quello di creare degli strumenti, scientificamente validati, che permettano la misurazione delle diverse componenti che vanno a definire la persona anziana: biologica, cognitiva, motoria, socio-economica, oltre che clinica. Il fine ultimo è programmare piani d’azione del tutto personalizzati.
Considerato il trend demografico, che vede l’invecchiamento progressivo della popolazione, il nostro futuro – conclude Ferrari – dipenderà anche dalla capacità della geriatria italiana ed europea di proporre alle persone e alle istituzioni modelli di assistenza, che possano garantire l’invecchiamento attivo e in salute».
Esiste una fragilità connaturata al ciclo di vita e una fragilità di tipo fisico.
Con l’avanzare dell’età, la rete sociale cambia e si disfa, si è più vulnerabili nel fisico con diverse patologie: questi anni sono un periodo di sopraffazione da chi si ritiene superiore e per l’anziano è sempre più difficile chiedere aiuto, ma la prima cosa è la consapevolezza del paziente di aver bisogno della cura, avere il coraggio di chiedere aiuto, quando c’è di mezzo la salute emotiva però ci sono ancora molti tabù da superare.
Gli ultimi decenni sono stati caratterizzati da un aumento della speranza di vita, riconducibile al miglioramento delle condizioni alimentari e abitative e ai progressi in campo medico. Tale aumento si è tradotto in un incremento della popolazione anziana e, in particolare, di quella molto anziana, fortemente soggetta da un lato a patologie acute che richiedono cure sanitarie specifiche, dall’altro a fenomeni di non autosufficienza e di perdita delle autonomie funzionali.
Nello stesso tempo, poiché l’incremento della speranza di vita si è intrecciato ad un declino dei quozienti di natalità, e quindi ad una diminuzione delle classi di età più giovani, l’incidenza della popolazione anziana sul totale della popolazione è fortemente aumentato comportando, in particolare, un mutamento del rapporto tra popolazione attiva, che contribuisce al sistema del finanziamento pensionistico, e numero dei soggetti che fruiscono dei trattamenti di quiescenza.
Altrettanto rilevanti sono stati i cambiamenti delle tipologie familiari.
Il modello “tradizionale” di famiglia composto dai due genitori e da più figli, è sempre più affiancato da nuclei monogenitoriali, da famiglia ricostituite e soprattutto da singleness; nello stesso tempo, da un lato, crescono fenomeni di precarietà, di incertezza, di “destrutturazione” del corso di vita, dall’altro si accentuano processi di individualizzazione e di accentuazione di modelli di identità fortemente improntati più all’autorealizzazione che alla doverosità. La situazione attuale si configura come caratterizzata sia da una crescente pluralità dei modelli familiari, sia da un indebolimento delle tradizionali reti di solidarietà familiari.
Un altro fattore rilevante che incide sul sistema di welfare è riconducibile al mutamento dell’assetto socio economico: il tasso di crescita del prodotto interno lordo, negli ultimi anni, è stato modesto e la creazione delle risorse economiche necessarie a rispondere alla crescente pressione del sistema pensionistico e di quello sanitario è stata limitata.
La prima emergenza del “problema anziani” si verifica negli anni Sessanta quando i nati nell’ultima decade dell’Ottocento, cresciuti in un ordine sociale essenzialmente rurale, vivono il passaggio all’età anziana nel periodo della grande urbanizzazione del centro-nord d’Italia.
Nel processo generale di fuga dalla campagna, spesso gli anziani non seguono i propri figli, la coppia anziana rimane, dunque , nella comunità di appartenenza, isolata e senza più alcuna funzione di guida e di autorità nei confronti della prole; alla distanza fisica si accompagna anche una distanza culturale, quando i figli sono condotti a compiere esperienze diverse da quelle comuni alla famiglia prima della separazione, in conflitto con i valori tradizionali di cui sono portatori i genitori anziani: ciò comporta la rottura del ceppo famigliare e il passaggio a un diverso modello di famiglia, in cui si assiste all’isolamento delle due unità familiari che devono rielaborare, in piena autonomia, la loro posizione sociale e il loro stile di vita.
Affiora, dunque, già all’alba degli anni Sessanta il nodo critico della vecchiaia: un meccanismo di autoemarginazione dovuto alla perdita della capacità di adattarsi, un meccanismo che porta alla perdita di plasticità.
Una società sempre più anziana: questo è il quadro che emerge dai dati ISTAT. Si stima che al 1° gennaio 2017 la popolazione ammonti a 60 milioni 579 mila residenti, con un’età media di 44,9 anni. Le persone di 65 anni e oltre superano i 13,5 milioni e rappresentano il 22,3% della popolazione totale: l’Italia però è lenta a innovarsi e tendenzialmente conservatrice. Molti settori faticano a rispondere in modo adeguato alle nuove esigenze.
Nonostante la società italiana invecchi sempre di più, in Italia manca una vera e propria offerta geriatrica: i geriatri sono pochi e molti di essi sono assorbiti in ambiti della medicina più generali e non specifici. Se è presente il pediatra di base, manca sul territorio la figura del geriatra di base.
Fondamentale sarebbe definire il ruolo del geriatra negli ospedali e sul territorio. Per esempio, in ogni ospedale c’è il reparto di Pediatria ma non in tutti c’è quello di Geriatria; esistono ospedali che si dedicano esclusivamente ai bambini ma sono rari quelli a orientamento geriatrico.
Da un punto di vista qualitativo, ciò che sicuramente manca in molte regioni è l’adeguata integrazione e coordinazione tra servizi sanitari e servizi sociali: le ASL e i Comuni sono spesso incapaci di dialogare adeguatamente tra di loro, erogando un’assistenza frammentata, poco efficiente e talvolta inefficace.
La cultura geriatrica dovrebbe entrare a far parte della sanità pubblica con più forza di quanto non lo sia ora e con un maggiore coordinamento fra i suoi attori mettendo al centro delle riforme la fetta di popolazione che nei prossimi anni assorbirà grandi energie e risorse economiche: gli anziani.
“In Italia oltre 500mila famiglie si sono indebitate per sostenere le spese di assistenza ai propri cari non più autosufficienti”. È lapidario Enzo Costa, presidente nazionale dell’Auser (Associazione per l’invecchiamento attivo).
“Siamo l’unico paese in Europa in cui esiste il fenomeno delle cosiddette ‘badanti’ – assicura – .
Di fatto ormai l’unico modo per risolvere situazioni di cui le istituzioni non si occupano”.
Riguardo l’invecchiamento demografico – destinato a peggiorare – Costa quindi ammonisce: “Come sempre si agisce solo per risolvere le eventuali emergenze. Mai per intervenire in modo strutturale e con una visione dell’oggi e soprattutto del domani”.
Per il Presidente nazionale Auser “lo scenario demografico che abbiamo di fronte non lascia spazio ai tentennamenti. L’Italia è già il paese più vecchio d’Europa e il progredire del livello di longevità, impone a tutti di non perdere tempo. Occorre presentare un pacchetto di proposte chiare e concrete per la promozione di una cultura dell’invecchiamento attivo come prevenzione della non autosufficienza e a un diverso modello di residenzialità nel territorio, aperto, solidale e inclusivo”.
Come ad esempio le città amiche degli anziani, adeguando il patrimonio immobiliare e ripensando profondamente alle relazioni degli anziani con la casa ed il quartiere in cui vivono, garantendo risorse adeguate e stabili nel tempo agli enti territoriali per un’assistenza che prenda cura complessivamente dell’anziano.
L’invecchiamento della popolazione è una sfida che deve essere affrontata subito, perché “Non onorare la vecchiaia, è demolire la casa dove ci si deve addormentare la sera” (Alphonse Karr).