“Chi apre le porte di una scuola, chiude una prigione”
V. Hugo
Per formare qualcuno, occorre un maestro: una guida sapiente e saggia, in grado di instillare nella mente e nello spirito del discepolo una passione per la ricerca personale e di sviluppare una sensibilità critica verso il mondo.
Il senso della parola formazione, tuttavia, sembra risiedere esclusivamente nell’ambito professionale, accanto a quello della parola “insegnamento”, impiegato in curricula farciti strafarciti di competenze concorrenziali e all’avanguardia, spendibili nel mercato del lavoro attuale.
Insegnare, in-segnare, incidere un segno nella mente del discente, come su una tabula rasa. L’intenzione di imprimere un concetto che permanga nel tempo, indelebile e immutabile.
Formazione intesa come pratica, acquisizione e apprendimento di tecniche, formule, linguaggi specifici e specialistici.
La storia del termine “formazione”, tuttavia, rimanda all’esperienza che ognuno di noi vive (prima o poi) nella vita, a contatto con se stesso e con il mondo in cui è immerso, con l’ambiente, con il proprio contesto. I greci la chiamavano “paideia”, i Latini “humanitas”, i tedeschi come M. Eckhart o J. Bohme, “bildung”. Dal verbo bilden, questo termine radica il suo significato nell’atto del creare, comporre, dare una forma a qualcuno o a qualcosa finché non abbia un senso, appunto.
In questa dimensione, l’individuo che si forma vede la propria storia coincidere con il processo formativo stesso, segnando le tappe della sua vita all’interno di un percorso, complesso, che lo coinvolge su più livelli e mescola aspetti intellettivi, pratici, emotivi e relazionali. In questo senso, lo Studente avverte dentro di sé una svolta, una sorta di risveglio interiore che, a livello personale, percepisce come un inevitabile cambio di passo rispetto a ciò che ha appreso, assorbito, imparato finora nella e dalla vita. La svolta può essere percepita quindi come una crisi, un momento in cui scegliere fra una quiete immutabile e la scoperta dell’ignoto; la spinta ad abbandonare sistemi obsoleti, ritenuti inaccettabili o inadatti al nuovo spazio-tempo vissuto.
Una Scuola di Alta Formazione rappresenta ciò che sta al di là delle colonne d’Ercole: un piano didattico costituito come organico e orientato – come scrive il filosofo tedesco R. Spaemann – ad una “vita riuscita”, intesa come apertura illimitata e coraggiosamente disponibile verso la realtà intera.
Intera e complessa.
Il territorio in cui muoversi: l’antropologia della salute.
Antropologia intesa come relazione di reciprocità e sostenibilità tra individui e mondo. Per la nostra salute, per la salute del pianeta e della società. Tra passato e futuro, dove la tradizione nasce dall’innovazione.
Sapere umanistico e scientifico, per abbattere steccati tra ambiti diversi della conoscenza, per esplorare territori di confine, per mischiare le carte, richiamando l’esperienza del passato, aprendo nuovi orizzonti per il futuro; per incuriosire, per cogliere nessi fra argomenti apparentemente distanti.
Fra gli obiettivi della Scuola, educare al pensiero complesso e sistemico nelle professioni e nella vita, a partire da competenze di differenti aree del sapere. Fornire agli Allievi strumenti per un’interpretazione trasversale della società e delle relative criticità, per costruire interventi mirati alla promozione della salute globale e alla tutela della biodiversità.
Per muoversi all’interno dei sistemi complessi, chi forma ed è formato entrano in un tutt’uno non con una disciplina, ma con una realtà.
Come recita il Manifesto della Scuola, ci vogliono giovani (non anagraficamente, s’intende) romantici e coraggiosi, senza paura di rischiare:
“Vola a mezza altezza, Icaro, mi raccomando, in modo che l’umidità non appesantisca le penne se vai troppo in basso, e il calore non le bruci se vai troppo in alto. Vola tra l’una e l’altro, e ti avverto, non ti distrarre a guardare Boòte o Èlice e la spada snudata di Orione. Vieni dietro, e ti farò da guida”.
Gli dava le istruzioni per volare, e intanto gli applicava alle braccia quelle ali mai viste. Mentre lavorava e dava consigli, s’inumidirono le sue guance di vecchio, tremarono le sue mani di padre. Poi baciò il figlio – furon gli ultimi baci – e levatosi sulle ali volò davanti, timoroso per quello che lo seguiva (come l’uccello che dall’alto nido porta fuori per l’aria la sua tenera prole), esortandolo a non restare indietro, erudendolo in quell’arte pericolosa, battendo le ali proprie e voltandosi a guardare quelle del fanciullo.
Tra medietas e hybris, ebbrezza del volo senza costrizioni, trascendendo i propri limiti, portando con sé il senso dell’impermanenza e della finitudine, come valore:
“E già si erano lasciati a sinistra Samo, sacra a Giunone, e Delo e Paro, e a destra avevano Lebinto e Calimne ricca di miele, quando il fanciullo cominciò a prender gusto all’audace volo, e si staccò dalla sua guida, e affascinato dal cielo si portò più in alto. La vicinanza del sole ardente ammorbidì la cera odorosa che teneva unite le penne. Si strusse, la cera; lui agitò le braccia rimaste nude, e non avendo con che remigare non si sostenne più in aria, e invocando il padre precipitò a capofitto, e il suo urlo si spense nelle acque azzurre, che da lui presero il nome.”
Non esiste progresso senza avventura. Le “scomodità della formazione” di Bonhoeffer rimandano ad un salto culturale che, prima che frutto di una generica autoriflessione, è disponibilità a prendersi cura di sé in ogni circostanza. Un progetto formativo lungo una vita, per educarsi e istruirsi, come atto di civiltà e di responsabilità vero se stessi e verso gli altri.
Per tutelare e promuovere la libertà umana, in tutte le sue espressioni, scientifica compresa.
Un percorso ad alto profilo didattico e culturale, alla ricerca della bellezza della complessità. L’interdipendenza che ci sottende e l’urgenza con cui deve essere studiata, tutelata, coltivata, non ha precedenti nella storia umana.
Una tavola rotonda in cui Professionisti provenienti dai settori più disparati, si uniscono nel confronto con una medesima realtà, quella di un mondo complesso in cui il comune denominatore è l’essere umano, antropologia tout court.
Pari dignità, rispetto reciproco, tavola rotonda come massima espressione della democrazia, in cui la diversità si fa ricchezza e tutti contribuiscono in varia misura al progetto (finale).
Pur essendo maestri, i Docenti stessi hanno bisogno, per trasmettere alla generazione che apprende, di essere immersi in un contesto consono a trovare modi e tempi per poter comunicare il concetto di complessità. Il Genius Loci dove agevolare il processo, uno spazio atto alla missione, a La Torre e a La Limonaia. Due diversi tipi di tavola – l’una in aula, l’altra in sala – in cui portare a compimento questo viaggio, discutendo di sistemi complessi.
Ma cosa sono i sistemi complessi?
Il comunicato del comitato Nobel, che ha assegnato quest’anno il premio al fisico teorico Giorgio Parisi, recita: “Le sue scoperte sono tra i contributi più importanti alla teoria dei sistemi complessi. Rendono possibile comprendere e descrivere molti materiali e fenomeni diversi e apparentemente del tutto casuali, non solo in fisica ma anche in altre aree molto diverse, come la matematica, la biologia, le neuroscienze e l’apprendimento automatico”. I sistemi complessi sono difficili da capire, e derivano da quello che viene chiamato “disordine”: questo può essere visto come una sorta di diversità che determina comportamenti del sistema casuali, non facili da prevedere. I legami che caratterizzano ciascun elemento del sistema vengono definiti “interazioni”, che semplici non sono; un po’ come i rapporti tra le persone.
Sorge quasi spontaneo l’accostamento fra sistemi disordinati fisici e sistemi complessi sociali: nella matrice dei sistemi complessi troviamo una Scuola in cui gli stessi insegnanti abbandonano e assumono, in un continuum, ruoli e professionalità diverse, non più divisi all’interno di categorie, ma parte di un’unica comunità del sapere. Un fenomeno complesso in se stesso, che apre la persona a nuove possibilità di interazione, fuori e dentro di sé.
Serendipità: concetto che aiuta a spiegare la non casualità degli eventi complessi che caratterizzano la natura di tutte le cose che conosciamo. Fenomeno per, e in, un sistema complesso.
Interazioni fra individui non più divisi; fra oggetti, entità, ambiente, nel mondo complesso di oggi, in un’ottica complessa. L’ambiente è di per sé un sistema complesso, come confermano gli altri due premi Nobel che affiancano quello di Parisi: il meteorologo e climatologo giapponese Syukuro Manabe e l’oceanografo e modellatore climatico tedesco Klaus Hasselmann hanno ricevuto il Nobel “per la modellazione fisica del clima terrestre, la quantificazione della variabilità e la previsione affidabile del riscaldamento globale”.
Nell’ottica della Scuola, per insegnare la complessità, va praticata. Dare dignità e rispetto al ruolo delle professionalità, tra metodo e merito, e lasciare ampio spazio ad aspettative, desideri, sogni. “Significare” l’esperienza e intendere la Cultura come fattore di resilienza e pace tra i popoli. Questi i pilastri del Corso di Alta Formazione.

Gilberto Corbellini, Scienza e filosofia – Il Sole 24 Ore, 24/10/21
Gianfranco Ravasi – Il Sole 24 Ore N.125, 09/05/2021
https://www.ansa.it/canale_scienza_tecnica/notizie/fisica_matematica/2021/10/05/alle-1145-lannuncio-dei-vincitori-del-nobel-per-la-fisica-diretta_592745dd-6f74-4cb9-814e-cd6f6e86141f.html#:~:text=Il%20Nobel%20per%20la%20Fisica%202021%20%C3%A8%20stato%20assegnato%20all,sue%20ricerche%20sui%20sistemi%20complessi
http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Premio-Nobel-per-la-Fisica-a-itaiano-giorgio-parisi-Klaus-Hasselmann-Syukuro-Manabe-160b4e69-1d65-4e98-875f-daa525ef7541.html
https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/10/05/premio-nobel-per-la-fisica-2021-tra-i-vincitori-ce-anche-litaliano-giorgio-parisi/6343261/
https://www.lescienze.it/news/2021/10/05/news/giorgio_parisi_nobel_2021_fisica_marco_cattaneo-4970867/
Libro VIII delle Metamorfosi di Ovidio (traduzione di Piero Bernardini Marzolla)
https://www.corriere.it/sette/incontri/21_novembre_19/giorgio-parisi-fisica-non-chiedete-se-dio-esiste-e166de72-47ae-11ec-8bc9-3ede90e62115.shtml