“Sto a riguardare Armacord – scrive il mio amico P. nella chat della Conventicola – Oh…mi sembra di essere là dentro. Insieme a tutti voi….”
“A parte il dialetto…” gli rispondo. E rido. Da solo…
Però ha ragione. “Armacord” resta, per me, il più bel film di Fellini. Oh, certo, la critica, i cinefili, mi parlerebbero di “Otto e mezzo”, “I vitelloni”, e altri… ma “Armacord” è un’altra cosa. È il film del ricordo. Come dice il titolo. Un ricordo personale, che, però, riesce a diventare altro. Qualcosa di… corale. Qualcosa che finisce per coinvolgerti. E riportarti indietro. Ad un mondo che non è più, forse… e che, forse, mai più ritornerà. Ma che continuiamo ad inseguire.

Si chiama nostalgia. Che è, poi, il desiderio, la malattia del ritorno. Il Nòstos di Ulisse… sì, lo so, finisco sempre a parlare di questo, dei greci e dei loro poemi… ma non è colpa mia se quelli hanno già detto tutto migliaia di anni fa… a noi non resta che evocare, ricordare, imitare…
Pensateci… Ulisse viene da una vita straordinaria. Ha espugnato Troia. Accecato il Ciclope. Sfidato Scilla e Cariddi. Amato ninfe e maghe bellissime…. eppure ha nostalgia di Itaca… di casa.
Ma che cosa gli offre Itaca, in fondo? Un piccolo regno ove anche lui, il re, deve coltivare la terra e pascolare le greggi. Una sposa che è invecchiata nell’attesa. Una vita… banale. Una bevuta con Eumeo il porcaro. Una passeggiata col cane. Quattro chiacchere al porto, scrutando il mare, ove aveva vissuto avventure incredibili… qualche festa… qualche banchetto…
Poco, anzi niente per chi aveva parlato con gli Dei.
Eppure è di questo poco, o niente, che ha nostalgia. Ovvero dei ricordi di una vita semplice.
Ed è questo il senso dell’Armacord di Fellini. O, almeno, tale è per me.
Inseguire i ricordi del mondo vissuto nella giovinezza. La provincia. Le feste paesane, come quella che apre il film, il falò di Primavera, il bruciare la Vecchia… i personaggi, i tipi umani di paese. Le passioni, le stramberie, le avventure erotiche (e talvolta pecoreccie), gli amori…

Da quando mi sono ritirato qui, più volte mi è stato chiesto se non mi manca Roma. Che, in provincia, rappresenta la grande città per antonomasia… ovvero opportunità, divertimenti, una vita alla grande… è il sogno dei giovani, soprattutto… che non vedono, per lo più l’ora di andarsene. Di solcare… il mare.
A me, quando mi dicono così, viene da sorridere.
È stato tutti il contrario. Andarmene dalla città, fuggire… ha rappresentato un recupero della vita, e della memoria, del passato.
Recuperata solo per frammenti, naturalmente. La passeggiata in piazza. Che evoca le vasche, o liston, che da ragazzo facevi soprattutto il sabato sera… avanti e indietro nella piazza centrale della mia città… dove confluivano tutti. Quattro chiacchere… i commenti delle ragazze che passavano (allora non si sapeva cosa fossero catcalling e altre fregnacce…)… accese discussioni di politica, di calcio… uno spritz (e, spesso, più di uno)… la pizza e il biliardo… le risate… la noia, anche, che si cercava di fugare…

Un mondo che, ormai, sta sparendo. Sostituito da…. bah, prevalentemente solitudine. E un altro tipo di noia. Più profondo. E annichilente…
Ma lasciamo stare…
In fondo, ha ragione P.
Qui sembra di vivere in qualche scena di Armacord. Almeno a tratti.
E ora chiudo. Vado da Enzo… una birra con gli amici. Quattro parole. Così… per fare passare il tempo.