“Nell’amore gli uomini sono, per lo più, distanti e tristi” mi dice un’Amica. O meglio, mi scrive, ma mi sembra di sentire la sua voce. Con una nota amara. Triste per davvero…
Non ha torto. In fondo sta citando, o meglio parafrasando, Ovidio. Dopo il coito, tutti gli animali sono tristi. Che, però, diventa: nel coito tutti sono tristi.
Nell’atto sessuale. Comunque la si giri. Perché si insegue un piacere fisico, un appagamento, fine a se stesso. Che resta lì. Si ferma all’atto. Al breve attimo che i francesi chiamano “la piccola morte”. Ed è immagine azzeccata, perché proprio di una morte, in fondo, si tratta.
Soprattutto triste è l’uomo. Che si degrada a solo maschio. La tristezza della Donna è conseguente. Perché è dall’Uomo che dipende quel senso di morte, quel grigiore che avvolge l’atto d’amore. E questo farà infuriare le erinni della parità… ma, sinceramente, me ne impippo…
Intendiamocii. Non sto parlando di avere più o meno fantasia. Tecnica sessuale. Intorcolarsi nelle posture più strane ed improbabili, seguendo letture superficiali del Kamasutra. Tanto superficiali e falsate da far sembrare serio quello disegnato dal grande Jacovitti.
Il Kamasutra, per altro, era testo sacro. Come il Kamashastra. Il cinese Tai Ping Mei. I Tantra… Non divagazioni domenicali per panzuti commendatori e compiacenti segretarie…
Certo, le famose “posizioni” vi sono. E per altro anche in Ovidio. Nell’Aretino dei Sonetti Lussuriosi. E, fra le righe, anche nel Marino dell’Adone. Tutta roba di cui, in un modo o in un altro, ho già parlato, lo so bene.
Tuttavia, non sta qui la sostanza della cosa. Le tecniche vengono dopo. E sono funzionali a specifici contenuti (diciamo così) interiori. Non fini a se stesse. Non mere stimolazioni per stanche libidini…
Contemplare. Il punto di partenza è sempre questo. Contemplare con gli occhi. Con l’udito. Con tutti i sensi. E, in primo luogo con una mente sgombra da ogni altro impedimento. Da ogni rappresentazione. Soprattutto dal desiderio fisico che urge. E urla per essere appagato. E, così, spegnersi… farsi morte.
Dante contempla Beatrice. Prima con gli occhi. Poi solo con la mente. Lei non è più presente fisicamente. Ma la sua presenza è ancora più forte. Pervadente. Abbacinante. Non vi è tristezza alcuna negli ultimi canti del Purgatorio. Quando compare trionfante a Dante. Sentimenti contraddittori, certo. Stupore. Passione. Fiamme. Ma non tristezza. Quella è stata vinta. L’opera è vicina al compimento.
Che c’entra Dante, ora? C’è lo vuoi proprio ficcare dentro a tutti i costi eh…. Allora leggete bene la Vita Nova. E, magari, aiutatevi col saggio di Evola, in appendice a “Metafisica del sesso”, sui Fedeli d’amore e il Tantrismo. Perché quello è Amore tantrico. O meglio, Amore. Senza aggettivi. E senza tristezza e senso di morte.
Nel Poeta che contempla l’Amata, e ne segue le forme con gli occhi, ne ode la voce, ne sente il profumo… prima ancora, o anche senza mai farsi altri sensi, gusto e tatto, si realizza l’annullamento di ogni distanza. Anche se Lei è distante fisicamente.
Nella normalità, o quella che chiamiamo tale, la distanza permane e si avverte. Anche se si è avvinti nell’amplesso. Perché si resta chiusi in se stessi. Nelle proprie sensazioni egotiche. Di qui la tristezza. Che il maschio stenta a cogliere, troppo condizionati dalla sua natura. Ma la Donna avverte. Come insoddisfazione profonda e non fisica. Inquietudine, se volete.
È per questo che gli amori lieti sono effimeri. E la tristezza sopravviene.
Perché iniziano come Amore. Ma subito ne perdiamo coscienza. La Selva Oscura ci avvolge. E non riusciamo a salire il Monte.
Dobbiamo, allora, sperimentare prima l’inferno. E vincerlo.
Mentre la Donna attende.
Non è facile. Lo ammetto. Nè cosa comune. E la mia Amica ha ragione. Tuttavia, se vi è la Selva, e la sperimentiamo nella quotidianità, vi deve essere anche il Monte. E in cima Lei. Che attende.
1 commento
L’amore è un sogno che difficilmente si concretizza e si sviluppa nel tempo