Nella storia del pensiero e della letteratura vi sono dei personaggi che è ben difficile inquadrare. O, più esattamente, che non rientrano negli schemi, nei parametri e modelli del loro tempo. Perché, in fondo, a quel tempo davvero non appartengono. Vengono da un altrove temporale. E, nella loro contemporaneità, vivono con disagio. Talvolta chiudendosi nella, classica torre d’avorio. Altre, cercando un inserimento che sempre si rivela impossibile. In altri casi ancora, correndo verso una sorta di autodistruzione. Cosciente o incosciente che sia.

Penso a Pasolini, naturalmente. Era, di fatto, un anacronista. Un uomo antico, si definiva. Legato alla cultura arcaica. Al mondo contadino. Però divenne marxista. E proprio nella, strana, lirica “Sono diventato marxista” rivela come la sua fosse non una ideologia della modernità, ma la ricerca di uno strumento (diciamo così) moderno per lottare… contro la modernità.
E la sua omosessualità era tormento. Discesa agli inferi. Sofferenza. Pensate alla lirica dedicata alla madre: Tu, madre di un figlio senza figli…
E alla disperazione sottesa ai romazi romani.
Siamo lontanissimi, anzi agli antipodi della, attuale, volgarità stile LGBT.
Ma non solo P.P.P…. Avete certamente letto Brecht. O, comunque, ve ne avranno parlato negli anni di scuola… fino allo sfinimento, se avete più o meno la mia età… erano gli anni in cui imperversava una certa cultura di sinistra… e lui, Bertold Brecht, ne rappresentava una delle icone più venerate…
Eppure….
Eppure se prendete la sua “Opera da tre soldi”, che è poi la sua opera più ideologica, una sorta di manifesto contro la borghesia capitalista, vi accorgete che… vi sono degli anelli che non tengono. Che, a tratti, questa critica, feroce certo, diventa… altro. O meglio, prende altra direzione. È la modernità stessa a divenire l’obiettivo. Una modernità di cui la borghesia è l’incarnazione. E, tuttavia, le magnifiche sorti e progressive del socialismo, sfumano in una cupa nostalgia. Per un passato più naturale. Un mondo arcaico. Che ben poco ha a che spartire con Marx.
Non parliamo poi delle prose liriche del “Me Ti”. La finzione confuciana, il camuffamento, come lo chiama la critica, a me non sembra affatto né finzione, né maschera. Piuttosto un, oscuro e sotteso, anelito a una saggezza diversa. Ad una sapienza arcana e arcaica. Lontanissima dalla forma mentis, superficiale, dell’intellettuale moderno.

Ma proprio questi devi tirare fuori come anacronisti? Non ne avresti esempi ben più limpidi pescando in un altro… campo?
Vero. Però, vedete, io non volevo tirare fuori quelli che sono gli anacronisti per eccellenza. Riconosciuti come lottatori contro il loro tempo. Per rubare il titolo di un saggio dello Steiner su Nietzsche. Che, certo, è l’esempio perfetto di anacronista. Insomma non volevo parlare di Leopardi, di Weininger, o – con sicuro orrore delle anime belle – di Evola.
Non volevo, in buona sostanza parlare di autori grandissimi, ma, alla fin fine, di nicchia. Roba per pochi, in sostanza.

Volevo, con un paio di esempi più o meno felici (o infelici) sottolineare una cosa.
I pensatori, e soprattutto i poeti autentici, non sono mai riducibili agli schemi, letti di Procuste, delle mode intellettuali del loro tempo. Anche quando fingono di sposarle per convinzione. Come Brecht. O vi si fanno fagocitare per disperazione e mancanza di alternative. Come Pasolini.
Il vero poeta, senza rendersene forse conto, è sempre in lotta col suo tempo. Perché… non è un contemporaneo. Vive un’altra dimensione. I suoi contemporanei autentici non sono coloro che incontra nelle vie della città. Appartengono al passato. O forse più esattamente, ad un’altra dimensione del tempo.