Alessandro Colombo, giornalista di una emittente radiofonica torinese, si lamenta ironicamente sulla cattiva abitudine degli uffici stampa di creare una sorta di vip card per giornalisti (e soprattutto per testate di appartenenza). Chi è inserito può partecipare in presenza a convegni e conferenze stampa, gli altri – prevalentemente chi lavora per radio e tv locali, o per testate considerate minori – deve accontentarsi di miserrimi comunicati stampa, evitando possibilmente il fastidio di una telefonata per farsi spiegare ciò che, nel comunicato, non è chiaro.
Assolutamente da evitare, ça va sans dire, la richiesta di parlare direttamente con presidenti, amministratori delegati, vari ed eventuali. Però, in fondo al comunicato, compare a volte la richiesta di inviare al solerte ufficio stampa il link dell’articolo/marketta pubblicato o diffuso in radio e tv.
La scelta degli uffici stampa è comprensibile. Mica si può far partecipare cani e porci. Soprattutto se, al termine di presentazioni e conferenze, è previsto un brindisi o, ancor peggio, un buffet. Bisogna risparmiare. Allo stesso modo bisogna risparmiare quando il solerte ufficio stampa pretende un articolo/marketta su un vino che il giornalista Nip non ha mai assaggiato, sul ristorante dove non è mai stato, sull’abito che non ha mai visto.
Basta la parola dell’ufficio stampa, no? Basta un comunicato per sapere se la pizza è buona o fa schifo, se un vino vale due euro al supermercato o 50 in enoteca, se un tessuto è meraviglioso da indossare o fa sudare anche stando fermi in mezzo alla neve. Basta un comunicato, senza possibilità di far domande, per fidarsi di un investimento, per giustificare quello che sembra un colossale buco in bilancio, per credere che un crollo delle presenze turistiche sia una precisa strategia di rilancio.
Certo, basta la parola. Però, per fidarsi, occorrerebbe almeno conoscersi, guardarsi negli occhi, fare una domanda. E non seguire pedissequamente le interpretazioni di comodo di chi le domande non le fa perché la sua testata ha appena incassato i soldi della pubblicità di chi illustra situazioni poco credibili e successi illusori.
Difficile credere che i risultati di questa strategia siano soddisfacenti. Parecchi anni orsono, quando a gestire la Costa Smeralda era l’Aga Khan, a seguire ogni manifestazione velica erano invitati anche i giornalisti delle testate minori, cani e porci in pratica. E le gare venivano raccontate ovunque, avevano pubblico, lettori e visibilità. Con una caterva di sponsor. Ora, senza Aga Khan, si punta su grandi testate internazionali e le gare sono pressoché sconosciute. Probabilmente è una scelta ponderata, una precisa volontà. Ma in termini di comunicazione è perlomeno curiosa.