Non c’è più rispetto per il padrone del mondo. Meno male che ci sono maggiordomi servizievoli e ubbidienti come Mario Draghi, perché Biden sta assistendo ad una ribellione continua in ogni parte del mondo. D’accordo, che la Russia non è disposta a fare la cortigiana della Casa Bianca era evidente da quando l’amico Eltsin è stato spedito ad ubriacarsi fuori dal Cremlino. E che la Cina sia in aperta competizione per la leadership mondiale lo ha capito persino Kamala Harris (Giggino non si sa).
Ma che persino quello che la dottrina Monroe individuava come il “giardino di casa” si metta in testa di non dipendere da Washington no, non si può accettare. Non lo accetta Biden e, di conseguenza, non lo accettano i giornalisti italiani di regime. Abituati a versare fango sul brasiliano Bolsonaro, prima per la simpatia dimostrata a Trump, poi per non aver applicato le sanzioni contro la Russia, nel mezzo per le sue politiche anti Covid. Nessuno si faceva problemi nel criticarlo: Bolsonaro è un “destro”, dunque qualsiasi cosa faccia è sbagliata.
Però il compagno Lula era un mito per la sinistra italiana annidata nelle redazioni. Più che annidata, in realtà, è comodamente sistemata a gestire la stragrande maggioranza dei media. Anche Lula, però, ha già iniziato a deludere la gauche senza più caviale sanzionato. Perché in vista di un probabile ritorno alla presidenza del Brasile, il compagno Lula non si è prostrato davanti a Biden. Anzi, ha già chiarito di essere contrario alle sanzioni ed anche agli armamenti consegnati a Kiev per far proseguire la guerra per far felici gli Usa.
E questo ha spiazzato la sinistra radical chic, trasformata nella principale sostenitrice dell’atlantismo guerrafondaio. La gauche costretta a rinunciare al caviale non vuole sanzionare anche cachaça e caipirinha (la caipiroska è già stata eliminata per la presenza di vodka).
Ma al di là dei problemi esistenziali dei compagni di redazione, è la situazione geopolitica complessiva a registrare continui cambiamenti. Il Brasile di Bolsonaro non era certo allineato con l’Argentina neoperonista. Però i due principali Paesi del Sud America si ritrovano dalla stessa parte rispetto agli Usa. E l’eventuale cambiamento a Brasilia non modificherà il quadro. Anzi, il rischio per Washington è che il virus anti yankee si diffonda in un numero crescente di Paesi latinoamericani.
E si vedrà anche come si comporteranno le Filippine tornate sotto il controllo della dinastia Marcos. Gli Usa sono abituati a manovrare i regimi corrotti, dunque vorrebbero tornare a dettar legge a Manila. Ma anche la Cina ha dimostrato in Africa di non voler fare il gendarme moralizzatore del mondo e, dunque, può tranquillamente cercare di rafforzare la propria presenza nelle Filippine, punto fondamentale nell’espansione di Pechino per via marittima.