Certo che l’Italia è un paese ben strano!
Fino a qualche mese fa eravamo tutti convinti che al Referendum costituzionale per confermare la riduzione dei parlamentari da 945 a 600 eletti il “Sì” avrebbe vinto a mani basse.
D’altra parte la riforma era passata attraverso quattro votazioni parlamentari, ben distanziate tra di loro, e tutte le volte era stata approvata a larga maggioranza. Il motivo era semplice: nessuno, almeno tra i partiti maggiori, voleva passare come difensore della cosiddetta Casta.
Così la riforma, inizialmente sostenuto dal Movimento Cinque Stelle, era stata appoggiata da tutti. Persino dal Pd che, nelle prime tre votazioni era all’opposizione, ma votò la quarta perché era al governo.
Poi, però, c’è stata la quarantena, il rinvio al 20 settembre (la data più laica della storia italiana) e la fase due. Resta il fatto che all’improvviso moltissimi esponenti di spicco dei maggiori partiti hanno cominciato ad avere dei dubbi.
Naturalmente i gruppi più piccoli, da LEU a +Europa, continuano a sostenere il No per il timore – per non dire la certezza – di scomparire dalle aule parlamentari. Ma persino il movimento di Renzi, Italia Viva, che pure i sondaggi accreditano di una percentuale che oscilla tra il 3 e il 4 per cento, ha recentemente virato verso una salomonica “libertà di coscienza”. E la stessa cosa ha fatto anche Forza Italia, consapevole forse del fatto di essere destinata alla marginalità.
Ma all’interno dei partiti maggiori i malumori e i distinguo si stanno moltiplicando di giorno in giorno. Il Pd vuole garanzie dai pentastellati in merito alla riforma elettorale, e solo se avrà garanzie che la sua linea verrà appoggiata dagli alleati si schiererà per il Sì. Ma i dubbi attanagliano anche parecchi “grillini”, i quali devono aver capito che con la riduzione dei posti, e il calo dei consensi elettorali, la maggior parte di loro dovrà rinunciare alla comoda poltrona da parlamentare.
Persino nella Lega, che pure ha visto Salvini rivendicare la semi-paternità del provvedimento, non mancano le prese di posizione contrarie alla linea del partito. Prova ne sia che, complice la campagna elettorale per il rinnovo dei consigli regionali che si svolge in contemporanea, ha deciso di non mandare in piazza i suoi attivisti; neppure in quelle regioni che non andranno al voto.
L’unico partito che non ha cambiato la sua posizione è Fratelli d’Italia, ma si ha tuttavia l’impressione che i seguaci della Meloni siano stati tirati per i capelli sulle ragioni del taglio fin dall’inizio. Lo dimostra il fatto che il numero due del partito, Guido Crosetto, si è espresso pubblicamente per il No.
Nel mezzo ci sono i cittadini, frastornati da indicazioni di voto confuse e contraddittorie. E c’è altresì l’incognita delle percentuali di votanti, che saranno comunque ininfluenti dal momento che il referendum non prevede un quorum e il suo risultato sarà valido in ogni caso.
La conseguenza di tutto ciò è che, invece del previsto plebiscito a favore del “Sì”, dalle urne potrebbe uscire un risultato sorprendente. Forse non una vittoria dei “No”, ma un testa a testa che potrebbe avere sviluppi politici del tutto inaspettati.