Le ultime scelte politiche prese dal presidente argentino Alberto Fernández assumono le vesti del famoso fumo negli occhi per i cittadini della nazione sudamericana, provati dai ripetuti lockdown decisi dal governo nel tentativo di frenare il crescere del contagio generato dal Covid-19, in particolare intorno alla sovrappopolata capitale Buenos Aires e alla sua provincia.
Le aperture ai diritti civili sembrano, infatti, apparire una soluzione di comodo, nel breve periodo, per legare alcune frange della popolazione ad una maggioranza che scricchiola sia dall’interno, per via delle divisioni fra i peronisti moderati e quelli radicali, sia all’esterno per le ricadute negative in campo economico che la chiusura – la più lunga fra gli Stati che hanno deciso di attuarla – sta avendo sulle attività produttive.
In questo senso, come riportato già su queste stesse colonne da Luca Bagatin, il presidente, con il benestare dell’ingombrante vice, l’ex presidentessa Cristina Fernández de Kirchner, ha annunciato l’inizio dell’iter legislativo teso a depenalizzare e legalizzare l’aborto.
Di pari passo con l’annuncio che ha rinserrato le fila dell’associazione femminista Ni una menos, da tempo impegnata per promuovere un dibattito finalizzato all’approvazione di una legge in questo ambito, Fernández ha anche annunciato che – in base al decreto dello scorso 4 settembre – dalla fine del mese di novembre l’esercito albiceleste avrà l’obbligo di arruolare, nel proprio personale, una quota pari all’1% di travestiti, transgender e transessuali per “iniziare a riparare le violazioni (dei diritti) storicamente commesse” verso queste minoranze.
Anche in Argentina i diritti civili per nascondere i problemi sociali
