Lo so… la sento già la voce di M., l’amico di tutta la vita, che mi dice: guarda che la memoria ti sta fallando. Un pezzo sulla nebbia già lo hai scritto. Due anni fa o giù di lì…
Ma non è colpa del l’Alzheimer incipiente. È che la nebbia, quando mi sono alzato prima dell’alba, c’era davvero stamattina. Oddio… nebbia. Una foschia, abbastanza densa però. Quella che qui, a Roma, passa per nebbia. Nulla di paragonabile allo spesso muro di ovatta biancastra che copre, in questa stagione, le mie terre. E rende l’intera Val Padana una sorta di, leggendaria, Nibelheim. Dove ti aspetti che, da un momento all’altro, mostruosi giganti possano sbucare dal nulla e cominciare a devastare terre e città…
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Photo credits by Maria Infantino
Comunque, questa vaga nebbia laziale mi è stata gradita. Mi ha fatto venire la voglia di uscire, in una pallida alba domenicale. E di andare a vagare così, senza una meta. Un po’ come la figura del nonno in una delle più suggestive scene di “Amarcord” di Fellini. Avvolto nel tabarro. E perso nella nebbia. Che lo induce, in un dialetto semplice, a pensare alla morte… Che se è così, dice non l’è mica una bella cosa…
Già…perché spesso si associa la nebbia ad una idea di morte. A qualcosa, per lo meno, di misterioso. Di inquietante. Dicevo del mito norreno, dei Giganti che vengono dalla Terra delle Eterne Nebbie. E si potrebbe, anche, pensare al Limbo dantesco. Che è luogo sospeso. E nebbioso. Perché da lì è impossibile vedere la Luce.
Ma senza volare tanto in alto, pensiamo alle nebbie della Londra raccontata in tanti romanzi e tanti film. La Londra dei misteri e dei delitti. Quella dove si aggirava, nei quartieri miserabili dell’East End, Jack lo Squartatore. E dove si muoveva Sherlock Holmes con il fido Watson. Lo so. Quella, più che nebbia, era smog. Il primo dono della grande Rivoluzione Industriale. E Conan Doyle non ha ambientato tutte le avventure del suo detective in una città nebbiosa. Tuttavia, nella nostra immaginazione è così. Molto ha potuto il cinema. Molto, anche, gli innumerevoli epigoni dello scrittore britannico.
E, poi, ci sono le nebbie che avvolgerebbero l’isola di Avallon. Come richiamato nel titolo di un famoso fantasy, di Ursula K. Le Guyn. L’isola dove riposerebbe Artù, ferito a morte da Mordred, il figlio maledetto, nell’ultima battaglia. Ma portato ad Occidente, ad Avallon, dalla Dama del Lago. Isola dei Morti anche questa, certo, e degli eroi. Sorta di Walhalla celtico, che trova risonanze nel mito greco della dimora dei gemelli Ipnos e Thanatos. E che ha influenzato il cupo e suggestivo dipinto di Böcklin. Avvolto, appunto, da una coltre di nebbia, che il pittore elvetico, probabilmente, vide circondare l’isola di San Michele. Il Cimitero d Venezia.
Perché Venezia è città, per eccellenza, di nebbie. Ma sono nebbie diverse da quelle londinesi. Sono nebbie meno…oscure. Misteriose, certo. Ma non tutti i misteri sono sanguinosi.
Tra quelle nebbie sembra, sempre, di sentire risuonare risate femminili. Maschere, o meglio fantasmi di maschere di secoli più felici. Casanova che insegue effimeri, ma intensi amori. Vecchi cabalisti sefarditi, e ombre di alchimisti tedeschi alla ricerca, perenne, dell’elisir. E della Pietra Filosofale.
E, talvolta, in quella nebbia che profuma di laguna salmastra, è possibile intuire (più che vedere) il passo dinoccolato di Corto Maltese. Diretto verso Corte Sconta…
Fantasie, certo. Di un mattino di foschia in cui sono uscito a passeggiare in una città semideserta.
Solo poche sagome si muovevano. Distanti. Silenziose. Non vedevo i loro volti, né le loro…maschere.
Ed ero, insolitamente, felice.