Ci siamo. Vanzina c’è arrivato per primo. Come sempre, per altro. Perché avranno fatto, quando erano ancora in due, anche una filmografia commerciale, cinepanettoni e connessi, ma hanno avuto il dono di saper cogliere al volo i mutamenti della società. E, per traslato , anche della cultura profonda. Insomma, i figli di Steno hanno avuto antenne sensibili. Ed Enrico, il fratello rimasto, le sa usare…
E così già esce con la prima commedia all’italiana sull’italietta della quarantena, del Conte Zio, dei bibitari ministri, delle controfigure di Moana ministri dell’istruzione, le mascherine, l’amuchina, i distanziamenti, le spie da balcone…
“Lock down all’italiana” mi sembra si intitoli… Non lo vedrò. Non al cinema. Io già al cinema ci andavo malvolentieri prima, immaginatevi adesso…. Con maschere ed altre cavolate…
Però questo film, girato a botta calda, ovvero col panico per il virus ancora inoculato e diffuso artatamente dai media, mi pare significativo.
Perché la famigerata Commedia all’italiana ha sempre avuto due ben precise funzioni. Funzioni culturali, con buona pace dei saccenti intellettuali stile Capalbio, ché Totò, Peppino, poi i Monagnani e gli Alvaro Vitali e infine i Boldi e i De Sica hanno esercitato un ruolo culturale importante. Intendendo per cultura non gli astratti onanismi alla Saviano, ma la capacità di dare forma e voce a ciò che urge nelle profondità, magmatiche e oscure, dell’anima, o se volete della psiche collettiva di un popolo.
Potrà sembrare un paradosso tirato per i capelli, ma sı comprende l’italiano degli anni ’70 più da Renzo Monagnani, che spia la Fenech mentre fa la doccia, che da tanti elucubrazioni di famosi sociologi. Perché certe commediole farsesche – che si avvalevano di grandi attori di teatro, come Buzzanca, costretti in quei ruoli per ragioni alimentari – erano uno specchio. Deformante, certo, ma proprio per questo rivelatore. Perché nella deformazione parodistica e parossistica si vede la realtà normalmente celata. Cade il velo d’ipocrisia.
E proprio per questo, quei filmacci avevano ed hanno una funzione catartica. Come l’antica tragedia greca. Ma noi italiani non siamo, l’ho già scritto, un popolo col senso del tragico. Lasciamo ad altri il Crepuscolo degli Dei. La nostra musica non è Wagner. È Rossini.
È le nostre catarsi non si inverano nel sangue, ma nella risata. Che è, però, anch’essa catartica. Liberatoria.
Non ho speranze in una reazione di coraggio e orgoglio da parte di un popolo che, da mesi, sta subendo le più assurde soperchierie da una manica di tirannelli ridicoli, che sarebbero già stati rovesciati nello Stato Libero di Bananas. Non posso averle di fronte allo squallore di questa quotidianità pavida e vile…
Ma spero che ancora non si sia perduto totalmente il senso del ridicolo. Che si riesca a ridere di questa assurda opera buffa, di questo filmaccio di quart’ordine in cui ci siamo lasciati imprigionare. Una risata potrebbe essere liberatoria. Non riesco a sperare nelle finte opposizioni. Solo in Vanzina.