Le nubi sono poche. Dorate dalla luce. Una luce che, rapida, tramonterà, in un’ultima esplosione di colori, vermiglio, oro, azzurro, croco… Il tramonto comincia presto, ormai. Mancano meno di trenta giorni all’equinozio.
Gli stessi colori del cielo sono sugli alberi e sui prati. Un refolo di vento caldo, appena un sospiro nell’afa umida di fine agosto, porta sul terrazzo una foglia. Riarsa, secca, accartocciata. Sembra di ginko biloba. Forse viene da qualche giardino…
Mio figlio la raccoglie e la guarda. Incuriosito. La forma è inusuale. A me ricorda un ventaglio. Giapponese. Come quello con cui Ieyasu disponeva le sue armate alla battaglia di Sekigahara… mi ha sempre affascinato l’uso del ventaglio, la sua eleganza leggera, tra le mani dei comandanti giapponesi. Mentre cozzavano le katane…
Ma queste sono reminiscenze culturali. Echi, forse, dei capolavori di Kurosawa. Kaghemusha. Ran.
Per mio figlio è diverso. Lui è colpito dalla pura forma. Senza filtri culturali. È la morfologia della foglia che lo affascina. E per un attimo sospende il suo incessante muoversi febbrile. Sta scoprendo il mondo. Un mondo che, in buona parte, gli risulta ancora alieno. E quindi misterioso.
Forse è in questo la chiave di quell’osservazione goethiana che tanto ho studiato. E vanamente perseguito. Essere come un fanciullo. Semplice. Senza infrastrutture mentali. E guardare le cose con meraviglia, scevra di pregiudizio. Che è poi poesia. Come direbbe il Pascoli.
Penso, con malinconia, che durerà poco. Ogni giorno che passa si acclimata di più. Comincia ad entrare nel nostro mondo. Che non è né bello, né poetico. Ma deve farlo. Per forza. E io lo devo spingere. Sollecitare. Non c’è alternativa. Deve crescere. E adattarsi.
Oggi è stato il suo compleanno. Domenica d’Agosto. Senza amici. La scuola è chiusa. E al centro estivo non ha potuto portare la torta per festeggiare. Hanno detto che sono le regole, stringenti, imposte dal Governo per via del COVID.
Siano stramaledetti entrambi. COVID e Governo. Stamane l’ho portato al parco giochi. A saltare sui tappeti elastici. L’inserviente indiano pretendeva che saltasse con la mascherina.
“Non ha sentito il telegiornale?” mi ha detto “C’è la seconda ondata. Bisogna tenere la mascherina. Sempre.”
Non è vero. Ma la gente ha paura. E va oltre le già demenziali disposizioni delle cosiddette autorità.
Confesso che ho sbroccato, come si dice a Roma. Alzato la voce. E detto… cose bruttissime. È arrivato il proprietario. Ha fulminato l’indiano con sguardo. Lui non portava la mascherina. È di stirpe sinti, anche se italiano da generazioni. Tutto a posto… Lui non ha paura. E delle regole…
Mio figlio mi porge la foglia. E si allontana. Sorridendo. Chissà cosa gli resterà di questo compleanno. Forse solo quella strana foglia…
Scende la sera.